Corte di Cassazione

26 Aprile 2019

Cass. Pen., sez. III, sentenza 28 aprile 2016 n. 17429

Corte di Cassazione, III Sezione penale, sentenza 28 aprile 2016, n. 17429

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa in data 24/04/2015, depositata in data 25/05/2015, la Corte d’appello di MILANO confermava la sentenza del tribunale di Milano del 18/01/2012 che aveva riconosciuto (…) colpevole del reato continuato di cui all’art. 2, legge n. 638 del 1983, relativamente ai ratei di maggio e novembre 2008, per un importo di 15.481,00 €.

2. Ha proposto ricorso (…) a mezzo di difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce due motivi, di seguito enunciatio nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. d) ed e), cod. proc. pen., sotto il profilo del vizio di motivazione e per la mancata assunzione di prova decisiva a seguito del diniego della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello.

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente – nell’impugnare l’ordinanza 7/10/2011 con cui la Corte appello aveva respinto la richiesta di rinnovazione istruttoria per acquisire elementi necessari ed indispensabili -, la Corte d’appello avrebbe ritenuto che attesa l’esistenza oggettiva della prova documentale e la sua natura confessoria, inoltrata all’Inps, costituita dalla presentazione del mod. dm/10, appariva inutile o superflua la richiesta istruttoria della difesa, in quanto il ricorrente non aveva mai posto il problema del Mod. DM/10 né alla difesa avrebbe manifestato interesse a dimostrare che, a causa della crisi societaria, non era stato possibile provvedere al pagamento delle ritenute previdenziali di cui era stato omesso il versamento; la Corte d’appello, si sostiene, avrebbe travisato le circostanze fattuali e le argomentazioni giuridiche che potevano emergere dall’esame dei testi richiesti dalla difesa; questi ultimi avrebbero provato che il ricorrente era impossibilitato ad adempiere all’obbligo di versamento delle ritenute con conseguente applicabilità dell’art. 45 cod. pen.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sotto il profilo del vizio di motivazione in relazione alla carenza dell’elemento soggettivo del reato ex art. 45 cod. pen.

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello ha confermato la responsabilità penale del medesimo affermando che questi non poteva non conoscere la situazione economico – pecuniaria in cui versava la società e che, in ogni caso, ciò non lo avrebbe esentato dal provvedere al versamento delle ritenute INPS; diversamente dalla deposizione del teste escusso sarebbe emerso: a) che la (…) era una S.p.A. facente parte del gruppo (…) S.p.A.; b) che la (…) era soggetta al potere di direzione e controllo della (…) e che il ricorrente, era solo un consulente aziendale; c) che dipendeva quindi dall’amministratore delegato della (…) finanziariamente; d) che pertanto il ricorrente avrebbe voluto provvedere al pagamento delle ritenute, ma non aveva le risorse finanziarie per poterlo fare. Secondo la difesa, dunque, la mancanza di liquidità, il mancato accesso al credito e il ruolo non decisionale del ricorrente rappresentavano un’impossibilità oggettiva ad adempiere all’obbligo tributario ex art. 45 cod. pen.; da qui, dunque, la manifesta illogicità della motivazione.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

4. Ed invero, la Corte d’appello si occupa della doglianza di cui al primo motivo di ricorso alla pag. 4, in particolare disattendendo la richiesta di rinnovazione istruttoria in quanto volta ad acquisire un’integrazione ritenuta dal giudice territoriale non necessaria ed indispensabile ai fini della decisione, volendo infatti la difesa disconoscere con la prova orale richiesta il tenore dei modelli DM/10, prova documentale a carattere confessorio, a suo tempo inoltrati all’INPS; prosegue, poi, la Corte d’appello aggiungendo che sulle circostanze indicate nella lista testi, volte a sostenere l’oggettiva impossibilità per il ricorrente, nei mesi in contestazione, di provvedere al pagamento delle ritenute era stato escusso il teste Lunetta, prescelto tra gli altri dalla difesa dell’imputato, che si occupava della direzione della tesoreria; aggiunge, la Corte d’appello che la ditta (…), nell’inoltrare a suo i modelli DM/10, aveva dato atto del presupposto contributivo, nella fattispecie rimasto inosservato per le mensilità di maggio (per la quale la somma di 227,00 euro era stata corrisposta in ritardo) e di novembre 2008 (per la quale la somma di € 15481,00 non era mai stata versata neppure in epoca successiva); la prova, conclusivamente, affermano i giudici territoriali, era data dall’omesso versamento degli importi indicati nei modelli DM/10 relativi alle mensilità di cui si discute, non essendovi peraltro dubbi che l’imputato fosse il legale rappresentante della società all’epoca degli omessi versamenti.

5. Non può, invero, censurarsi la motivazione dell’impugnata sentenza come invece sostenuto nel primo motivo, avendo la Corte d’appello fornito adeguata e logica motivazione delle ragioni per le quali non si era ritenuto di dover dar corso alla rinnovazione istruttoria richiesta in appello, avendo peraltro ben compreso i giudici territoriali anche lo scopo della richiesta difensiva, tant’è che è la stessa motivazione della sentenza impugnata a dare atto che sulle circostanze relative all’impossibilità di provvedere al pagamento era stato già sentito in dibattimento il teste (…), così dimostrando perfettamente la Corte d’appello di aver inteso il senso della richiesta istruttoria, volta non solo a contestare le risultanze del DM/10, ma soprattutto a tentare di dimostrare la esistenza di una causa di forza maggiore. Deve, quindi, respingersi il motivo di ricorso, dandosi in tal senso continuità al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603 comma primo cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004 – dep. 22/04/2004, Montanari ed altro, Rv. 228353).

Correttezza della motivazione su cui, nel caso in esame, non v’è ragione di dubitare.

6. Quanto, infine, al secondo motivo di ricorso, lo stesso è parimenti privo di pregio.

Anche su tale profilo di doglianza, invero, la Corte d’appello motiva puntualmente alle pagg. 4/5 dell’impugnata sentenza, chiarendo le ragioni per le quali non ricorresse nel caso di specie la scriminante dell’art. 45 cod. pen.; osservano i giudici di appello che la situazione della (…) non poteva essere giustificata allegando la criticità finanziaria o lo stato di insolvenza dell’impresa; si legge in motivazione, infatti, che come riferito dal teste (…) i dipendenti del gruppo (…) quindi anche quelli che facevano capo ad (…) avevano continuato a lavorare nel 2009, epoca in cui le società del gruppo erano ancora operative; inoltre la (…) era una s.r.l., soggetto autonomo dotato di una propria autonomia giuridica, sicché, puntualizza la Corte territoriale, non è minimamente plausibile che la società, pur inserita nel gruppo, non fosse in grado in relazione all’importo da pagare, di provvedervi; in ogni caso, conclude la Corte d’appello, lo stesso (…) aveva riportato la condizione più deteriore del gruppo ad epoca successiva rispetto al 2008.

7. Anche in questo caso trattasi di motivazione non censurabile.

Ed invero, osserva il Collegio, la circostanza di non poter disporre di liquidità, di dipendere dalla società capogruppo nonché la presunta impossibilità di accedere al credito, quand’anche fossero state provate, certamente non integrerebbero la causa di forza maggiore di cui all’art. 45 cod. pen., in quanto la giurisprudenza di questa Corte ha già da tempo affermato che il legale rappresentante (e tale era sicuramente il ricorrente all’epoca del fatto) avrebbe dovuto anche con i propri averi cercare di fronteggiare la situazione di asserita illiquidità sicché, tenuto conto del modesto ammontare dei contributi non versati, la tesi difensiva si appalesa all’evidenza priva di pregio. Sul punto è sufficiente qui ricordare quanto già affermato da questa Corte secondo cui in tema di cause di esclusione del dolo e della colpa, le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non sono in alcun modo riconducibili al concetto di forza maggiore che postulando la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007 – dep. 29/01/2008, Cairone, Rv. 238986); ancora, nello stesso senso si è affermato – con riferimento alla affine materia tributaria – non solo che l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 – dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263128; fattispecie, nella quale questa Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità)., ma anche che l’imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014 – dep. 15/05/2014, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190). Infine, e conferma di quanto sopra esposto, si è aggiunto che la colpevolezza del sostituto di imposta (principio ovviamente applicabile anche al reato di cui all’art. 2, legge n. 638 del 1983) non è esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’esercizio precedente, a meno che l’imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013 – dep. 04/02/2014, Mercutello, Rv. 258055).

In ogni caso, aggiunge il Collegio, correttamente la Corte d’appello ha evidenziato come lo stato di difficoltà economica fosse stato descritto come manifestatosi nel 2009 e non in relazione all’annualità precedente, sicché, avuto riguardo al termine per il versamento (il giorno 16 del mese successivo al rateo di riferimento) non vi era alcuna ragione di crisi che ostasse al pagamento; a tacer d’altro, infine, la tesi sostenuta dalla difesa tende ad equiparare la posizione del ricorrente a quella di un soggetto inerte, privo di poteri e incapiente economicamente in quanto dipendente anche finanziariamente dalla società capogruppo (…). Trattasi di difesa che non può certo consentire il richiamo e l’applicazione dell’art. 45 cod. pen. né incide sull’elemento psicologico del reato, in quanto l’accettazione della carica da parte del ricorrente attribuiva allo stesso doveri di vigilanza e controllo sulla corretta gestione degli affari sociali, il cui mancato rispetto comportava responsabilità a titolo di dolo generico, nell’ipotesi di accertata consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero a titolo di dolo eventuale in caso di semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (v., per un’applicazione del principio a proposito di amministratore di diritto mero “prestanome” di altri o che abbia a terzi delegato la gestione dell’impresa: Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013 – dep. 19/02/2014, Todesco, Rv. 258850; Sez. 3, n. 14432 del 19/09/2013 – dep. 27/03/2014, Carminati, Rv. 258689; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006 – dep. 04/07/2006, Furini, Rv. 234474).

8. Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

9. Solo per completezza, va qui evidenziato che il reato non si è ancora prescritto. Infatti tenuto conto della mensilità più remota (maggio 2008), il termine di prescrizione massima, che maturerebbe il prossimo 16/03/2016, deve infatti essere prorogato al 16/05/2016, attesa la sospensione dal 18/11/2011 al 18/01/2012 per adesione del difensore all’astensione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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