Corte di Cassazione

30 Aprile 2019

Cass. Civ., Sez. Trib., sentenza 13 febbraio 2015, n. 2935

Cassazione Civile, Sezione Tributaria, sentenza n. 2935 del 13 febbraio 2015

Fatto

Con sentenza n. 606/37/2003 depositata in data 3 febbraio 2004 la Commissione Tributaria Provinciale di Roma – in parziale accoglimento del ricorso proposto da S.T. S.r.l – dichiarava la quasi totale illegittimità dell’avviso di accertamento n. X IRAP IVA IRPEG 1998 emesso dalla territoriale Agenzia delle Entrate col quale venivano recuperate a tassazione ai fini IRPEG IRAP costi ritenuti indeducibili per lire 2.704.999.000 relativi a fatture spiccate da Coop. N.C. per operazioni ritenute inesistenti, oltreché per lire 3.529.000 per spese di rappresentanza non inerenti, oltreché per lire 3.914.000 per spese di riparazione non inerenti, oltreché lire 302.000 per spese di bollo non inerenti, oltreché per lire 18.800.000 per spese di assicurazione del personale non inerenti, oltreché per lire 5.986.000 per spese di assicurazione automezzi non inerenti, oltreché per lire 10.240.000 per canoni leasing non inerenti, oltreché lire 5.022.000 per quote di ammortamento non inerenti ed altresì ricavi non dichiarati per lire 112.843.000; mentre, ai fini IVA venivano recuperate a tassazione lire 540.999.000 per operazioni inesistenti, oltreché lire 5.126.000 per spese di rappresentanza indeducibili e da ultime lire 22.546.000 per maggiori ricavi.

La CTP, in sintesi, riteneva vere e reali le operazioni per la cui inesistenza l’Agenzia delle Entrate aveva invece recuperato a tassazione lire 2.704.999.000 ai fini IRPEG e lire 540.999.000 ai fini IVA; e riteneva altresì che non vi fossero stati i maggiori ricavi recuperati dall’Ufficio per lire 112.843.000 ai fini IRPEG e per lire 22.569.0000 ai fini IVA. Riteneva, invece, legittimo l’avviso nella parte in cui aveva recuperato a tassazione costi indeducibili per complessive lire 48.765.000.

Contro la sentenza della CTP proponevano appello principale la contribuente S.T. S.r.l. e incidentale l’Agenzia delle Entrate.

L’adita Commissione Tributaria Regionale del Lazio – con sentenza n. 99/12/07 depositata in data 9 luglio 2007 – respingeva sia l’appello principale che quello incidentale. L’appello principale proposto dalla contribuente veniva rigettato per mancanza di prova in ordine alla deducibilità dei costi per lire 48.765.000. L’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate veniva rigettato secondo la CTR l’onere della prova dell’inesistenza delle operazioni, quando suffragate da fatture, come avvenuto nella specie, doveva intendersi a carico della Amministrazione, che peraltro non poteva pretendere di averlo assolto mediante l’allegazione di semplici indizi. E, del resto, secondo la CTR, la sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della contribuente, per gli stessi fatti che avevano originato l’avviso sub iudice, assoluzione anche basata su conforme perizia tecnico contabile, andava nel senso della realtà delle fatturate operazioni. Infine, con riferimento alla prova dell’esistenza dei ricavi non contabilizzati – e perciò recuperati a tassazione – la CTR non riteneva sufficiente l’annotazione che degli stessi era stata trovata dalla G.d.F. in due schede contabili.

Contro la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La contribuente resisteva con controricorso.

Diritto

1. Col primo motivo la sentenza è stata censurata ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) d.p.r. 600/73 e 54 d.p.r. 633/72 e 2697 c.c. da interpretarsi ed applicarsi nel senso che la prova dell’indeducibilità dei costi deve esser sopportata dal contribuente e che nel caso in cui questi produca fatture all’Amministrazione non è preclusa la prova della falsità del documento anche a mezzo di presunzione semplice.

Il motivo è fondato.

In effetti, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel senso che la prova del diritto alla deduzione di costì è a carico del contribuente e ciò sia con riferimento al criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare e sia con riferimento al criterio di vicinanza della prova (Cass. sez. trib. n. 13943 del 2011; Cass. sez. trib. n. 4554 del 2010). E’ peraltro possibile che il contribuente sia in grado di assolvere l’onere dimostrativo di che trattasi mediante la produzione di fatture, ma per contro è altrettanto possibile che l’Amministrazione possa fornire prova dell’inattendibilità delle stesse anche mediante praesumptio hominis. Ed, in questa direzione, il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno di operazioni fatturate e dedotte (Cass. sez. trib. n. 9958 del 2008; Cass. sez. trib. n. 21953 del 2007). La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha quindi violato la legge, quando ha ritenuto di non poter considerare i fatti secondari indicati dalla Agenzia delle Entrate al fine di ricavare per presunzione semplice l’inesistenza delle operazioni in discorso.

2. Col secondo motivo la sentenza è stata censurata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia rappresentato dall’aver escluso dalla valutazione probatoria i numerosi “indizi” – recte, fatti secondari  dai quali l’Amministrazione aveva ricavata la inesistenza delle operazioni in parola.

Il motivo è rimasto assorbito.

3. Col terzo motivo la sentenza è stata censurata ancora ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia rappresentato dalla idoneità o no della ‘”annotazione” in scheda contabile a dar prova della esistenza di ricavi non dichiarati.

Il ricorso è fondato, essendosi la Commissione Tributaria Regionale del Lazio limitata in modo apodittico ad affermare la “non sufficienza” dimostrativa delle due annotazioni.

4. La sentenza deve essere quindi cassata con rinvio al giudice a quo per l’accertamento degli ulteriori fatti e l’applicazione dei statuiti principi.

P.Q.M.

Accoglie il primo e terzo motivo del ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa l’impugnata sentenza e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio che nel decidere la controversia dovrà uniformarsi ai superiori principi e regolare le spese di ogni fase e grado.

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