Corte di Cassazione

30 Aprile 2019

Cass. Civ., Ordinanza 19 febbraio 2015, n. 3300

Cassazione Civile, Ordinanza n. 3300 del 19 febbraio 2015

In fatto

Il contribuente, notaio che ha rogato un atto avente per oggetto la cessione, da parte di un alienante, di una quota di una società in accomandita semplice a sei acquirenti, ha impugnato un avviso di liquidazione della relativa imposta di registro, sostenendo l’applicabilità dell’art. 11 della tariffa allegata al d.p.r. 131/86, che prevede la registrazione a termine fisso degli atti pubblici e delle scritture private autenticate aventi per oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società.

La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso e quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, reputando che l’atto debba essere tassato a prescindere dal numero delle cessioni in esso contenute, giacché, ha chiosato, la cessione di quote societarie sconta soltanto una volta l’imposta di registro in misura fissa, anche se vi sono più acquirenti.

Propone ricorso l’Agenzia delle entrate, per ottenere la cassazione della sentenza, affidandolo ad un unico motivo, al quale il contribuente replica con controricorso, che illustra con memoria.

In diritto

1.- Il ricorso può essere definito in camera di consiglio, risultando manifestamente fondato.

2.- É, in particolare, fondato l’unico motivo di ricorso, col quale l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 20 e 21 del d.p.r. n. 131/86, in combinazione con l’art. 11 della tariffa, parte I, allegata al medesimo decreto.

2.1.- Al caso in esame si attaglia il consolidato orientamento della Corte, secondo cui l’art. 21 del d.p.r. n. 131 del 1986, nello stabilire il regime tributario di registro applicabile nel caso in cui l’atto contenga più disposizioni, detta il criterio distintivo tra tassazione unica (da applicare con riguardo alla disposizione soggetta all’imposizione più onerosa: comma 1) e tassazione separata delle singole disposizioni (comma 2), individuandolo -in linea con il principio generale della tassazione secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto, a prescindere dal nomen iuris adoperato (art. 20) – nella sussistenza, o meno, del requisito che esse “derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre”.

2.2.- In particolare, la Corte costantemente interpreta tale criterio – anche con riferimento al previgente art. 20 del d.p.r. n. 634 del 1972, art. 20, di contenuto identico alla norma attuale, e, prima ancora, all’art. 9 del r.d. n. 3269 del 1923, art. 9, il quale a sua volta già esprimeva un concetto del tutto analogo, nel senso che le disposizioni soggette a tassazione unica sono soltanto quelle fra le quali intercorre, in virtù della legge o per esigenza obiettiva del negozio giuridico, e non per volontà delle parti, un vincolo di connessione, o compenetrazione, immediata e necessaria: occorre, cioè, che sussista tra le convenzioni, ai fini della tassazione unica, un collegamento che non dipenda dalla volontà delle parti, ma sia, con carattere di oggettiva causalità, connaturato, come necessario giuridicamente e concettualmente, alle convenzioni stesse (tra le altre, Cass., sez. un., n. 406 del 1973 e Cass. nn. 1202 del 1972, 1886 del 1973, 2215 del 1980; più recentemente, Cass. nn. 10789 del 2004 e 10180 del 2009).

2.3.- In definitiva, la distinzione tra il 1° ed il 2° comma dell’art. 21 del d.p.r. 131/86 coglie la differenza fra il negozio complesso ed i negozi collegati, in virtù della quale il negozio complesso è contrassegnato da una causa unica, là dove, nel collegamento negoziale, distinti ed autonomi negozi si riannodano ad una fattispecie complessa pluricausale, della quale ciascuno realizza una parte, ma pur sempre in base ad interessi immediati ed autonomamente identificabili.

2.4.- Nel caso in esame, allora, è evidente il collegamento negoziale tra più pattuizioni, ciascuna adeguatamente giustificata sotto il profilo causale e non già il negozio complesso richiesto dalla giurisprudenza (conforme, tra varie, Cass. 16 dicembre 2014, n. 26440).

Né, ad escludere l’applicabilità di tale costante orientamento può incidere l’osservazione, da taluno mossa, secondo cui l’atto in questione, risolvendosi in una modifica statutaria, si sarebbe dovuto considerare in maniera unitaria.

3.1. – Secondo tale prospettazione, l’atto rogato avrebbe di per sé determinato la modificazione del contratto sociale.

3.2. – Di contro, è giustappunto la norma invocata al riguardo a sostegno di quest’affermazione a smentirla.

L’art. 2252 cod.civ., difatti, connette l’effetto della modificazione del contratto sociale invocato dalla contribuente non già alle cessioni di quota, bensì al consenso di tutti soci; coerentemente, la Corte ha chiarito che «tale consenso non incide peraltro sul perfezionamento e sulla validità del negozio di cessione, ma opera come una condicio iuris per l’opponibilità del trasferimento della quota sociale alla società» (Cass. 9 settembre 1997, n. 8784).

3.3.- In definitiva, la modificazione del contratto sociale è effetto connesso ad autonoma manifestazione di volontà, data dal consenso dei soci, del tutto estranea e comunque logicamente e cronologicamente successiva al contratto di cessione di una o più quote (conformi, Cass. ord. 5 novembre 2014, n. 23519, 23518, 23516; ord. 29 ottobre 2014, n. 22900).

3.4.- E, in questa sequenza, è circostanza di mero fatto inidonea a modificarla, la circostanza, di cui dà conto il ricorso e che, peraltro, non emerge dalla sentenza impugnata, che in esito alla cessione le parti contraenti fossero titolari dell’intero capitale sociale.

4.- Infine, non si ravvisa il contrasto giurisprudenziale prospettato in memoria.

4.1.- Le sentenze all’uopo citate dal contribuente si riferiscono, invero, tutte, al diverso caso dell’obbligazione indivisibile disciplinata dall’art. 1316 cod.civ., avente ad oggetto una prestazione unica ed inscindibile.

4.2.- Questa norma regola sia l’obbligazione oggettivamente indivisibile, tale, cioè, in ragione dell’utilità oggettiva e della funzione economico-sociale propria della cosa o del fatto che il debitore è tenuto a prestare al creditore, sia l’obbligazione soggettivamente indivisibile, caratterizzata dall’impossibilità di frazionamento in più parti della cosa o del fatto, in dipendenza di una particolare pattuizione, esplicita o implicita, che abbia attribuito un vincolo di indissolubilità all’utilità connessa al bene oggetto della obbligazione (Cass. 25 maggio 1983, n. 3622).

4.3.- La distinzione, dinanzi illustrata, tra cessione delle quote sociali e modificazione del contratto sociale evidenzia l’insussistenza dell’indissolubilità oggettiva della cessione plurima di quote. Né, comunque, per quanto irrilevante, emerge l’indissolubilità soggettivamente impressa, ad esempio mediante la pattuizione di un unico prezzo.

4.4.- Si consideri, sul punto, che la giurisprudenza, compresa quella indicata dal contribuente, annovera fra le obbligazioni indivisibili la promessa di vendita di un bene indiviso considerato come un unicum inscindibile (Cass. 23 maggio 2014, n. 11549; 11 ottobre 2005, n. 1975); la stipulazione di due contratti preliminari di vendita cumulativa, con la pattuizione di un solo prezzo (Cass. 20 giugno 2013, n. 15545); la promessa di più soggetti di acquistare in comune un immobile considerato nella sua interezza (Cass. 7 aprile 2005, n. 7287; 5 dicembre 2001, n. 15354; 11 febbraio 1997, n. 1258; 7 luglio 1987, n. 5903).

4.5.- Tutte ipotesi, queste, manifestamente differenti da quella in esame.

5.- Il ricorso va in conseguenza accolto e la sentenza impugnata va cassata.

5.1.- Non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, non emergendo dalla sentenza e comunque dal controricorso che altre questioni proposte in primo grado siano state ritualmente riproposte in secondo, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto dell’impugnazione originariamente proposta.

5.2.- La circostanza che l’orientamento della corte si sia definitivamente consolidato in tempi recenti comporta la compensazione di tutte le voci di spesa.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge l’impugnazione originariamente proposta; compensa tutte le voci di spesa.

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