Corte di Cassazione

26 Aprile 2019

Cass. Civ., sez. Lavoro, sentenza 12 aprile 2016 n. 7121

Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza 12 aprile 2016, n. 7121

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Agrigento, in sede di opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, ha confermato l’ordinanza del medesimo giudice che ha annullato il licenziamento collettivo intimato dalla M. s.p.a., per cessazione dell’attività, ai lavoratori C.M.G., G.C., Ch.Ca., Ge.Ez. con note del 3.9.2012 (ed efficacia dal 15.9.2012), ed ha condannato la Servizi Ausiliari Sicilia-società consortile per azioni a totale capitale pubblico (ritenuta società subentrante nei rapporti di lavoro dall’1.11.2012) alla reintegrazione dei lavoratori in azienda, condannando entrambe le società, in solido tra loro, alla corresponsione delle retribuzioni maturate da ciascuno di essi nel periodo 15/9/2012 – 1/11/2012.

2. A seguito di reclamo proposto dalle due società, la Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il 16.5.2014, – riunite le cause ha ritenuto, in via pregiudiziale, di escludere la nullità della sentenza del Tribunale per essere stata emessa dallo stesso giudice – persona fisica che aveva deciso con ordinanza la fase sommaria e per contestuale lettura del dispositivo della motivazione;

dichiarare inammissibile, per genericità, l’eccezione di incompetenza territoriale; escludere l’inammissibilità della domanda di reintegrazione avanzata dai lavoratori anche nei confronti della Servizi Ausiliari Sicilia nonché della domanda, proposta nei confronti della M., del pagamento delle retribuzioni per il periodo 16/9/2012 – 31/10/2012 (data, quest’ultima, di effettiva cessazione dell’attività da parte della M.); nel merito, la Corte territoriale ha respinto l’appello, accertando il subentro della Servizi Ausiliari Sicilia nell’attività economica già svolta dalla M. in favore delle strutture sanitarie regionali, in considerazione dell’assunzione della quasi totalità della forza lavoro in precedenza addetta all’attività medesima e dipendente dalla M. nonché della previsione, seppur meramente programmatica, del riordino del panorama delle società (pubbliche o a partecipazione maggioritaria regionale) operanti nel settore dei servizi ausiliari alle strutture sanitarie da parte della legge regionale n. 11 del 2010 (art. 20); ha, inoltre, ritenuto applicabile alla Servizi Ausiliari Sicilia l’art. 2112 c.c. per aver escluso che la stessa avesse natura di società in house ossia fosse assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui loro uffici.

La Corte ha, infine, escluso la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della L.R. n. 11 del 2010, art. 20 e respinto la domanda di lavoratori di condanna delle società per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..

Per la cassazione di tale sentenza la Servizi Ausiliari Sicilia ha proposto ricorso fondato su tre motivi.

I lavoratori hanno resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale sul capo relativo alle spese.

La M. s.p.a. è rimasta intimata.

Entrambi le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2112 e 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto sufficiente, ai fini dell’accertamento di una successione in un’attività economica organizzata, la riassunzione di una quota rilevante del personale già dipendente dalla società precedentemente appaltata, senza verificare se la specifica attività svolta da tali soggetti fosse tale da escludere la necessità del passaggio di beni strumentali alla società cessionaria e se, all’esito del trasferimento, la pretesa entità economica trasferita avesse conservato la propria identità, tutti elementi che dovevano essere provati dai lavoratori stessi al fine di integrare la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c.. Con il secondo motivo viene dedotta, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 3, e della L.R. n. 11 del 2010, art. 20, non avendo considerato, la Corte territoriale, che i lavoratori erano impiegati nell’ambito di un contratto di appalto e che la società subentrata non era libera nella scelta dei soggetti da assumere bensì vincolata dalle previsioni della legge regionale, integrandosi, pertanto, tutti i requisiti di legge che consentivano di escludere la configurazione di un trasferimento d’azienda.

Con il terzo motivo la società lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, artt. 1 e 36 non avendo considerato, la Corte territoriale, che la società opera in regime di house providing in quanto la partecipazione alla Società stessa viene riservata esclusivamente ai soci pubblici, l’attività e i servizi resi sono destinati esclusivamente in favore degli enti soci, la società è soggetta al controllo analogo da parte degli enti pubblici consorziati e ritenendo, pertanto, erroneamente la Corte di applicare l’art. 2112 c.c. piuttosto che la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 1 e 36.

2. I lavoratori hanno proposto ricorso incidentale fondato su due motivi, entrambi in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c.nonché artt. 111 e 24 Cost. e L. n. 247 del 2012, art. 13 per avere, la Corte territoriale, compensato le spese di giudizio nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, per aver escluso la condanna della società ricorrente per responsabilità aggravata nonostante orientamento consolidato di merito circa la natura della Servizi Ausiliari Sicilia ed il trasferimento di azienda.

3. Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

I motivi del ricorso vanno rigettati perché privi di fondamento.

3.1 – In ordine al primo motivo, occorre evidenziare che ai fini del trasferimento d’azienda, la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ., postula che il complesso organizzato dei beni dell’impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione. Il trasferimento d’azienda è pertanto configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa (Cass. 16 maggio 2013, n. 11918; Cass. 13 aprile 2011 n. 8460; Cass. 15 ottobre 2010 n. 21278; Cass. 10 marzo 2009 n. 5708; Cass. 8 ottobre 2007 n. 21023; Cass. 7 dicembre 2006, n. 26215; Cass. 13 gennaio 2005 n. 493; Cass. 27 aprile 2004 n. 8054; Cass. 29 settembre 2003 n. 13949). E’, quindi, principio consolidato che la disciplina del trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 c.c. è espressione del principio dell’inerenza del rapporto di lavoro al complesso aziendale, al quale rimane legato in tutti i casi in cui questo – pur cambiando la titolarità – resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell’attitudine all’esercizio dell’impresa.

E’, inoltre, stato affermato che deve considerarsi trasferimento d’azienda anche l’acquisizione di un complesso stabile organizzato di persone quando non occorrono mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica (cfr. Corte Giustizia 6 settembre 2011, causa C 108/10; Corte Giustizia 20 gennaio 2011, causa C 463/2009; Corte Giustizia 24 gennaio 2002, causa C-51/2000; Corte Giust. 2 dicembre 1999, causa C- 234/1998; Corte di Giustizia 11 marzo 1997, causa C13/95; con riguardo a questa Corte, cfr. Cass. 10 marzo 2009, n. 5709; Cass. 5 marzo 2008, n. 5932; Cass. 10 gennaio 2004, n. 206; Cass. 20 dicembre 2003, n. 19842; Cass. 23 luglio 2002, n. 10761). In particolare, la giurisprudenza comunitaria si è orientata, già con la vigenza della direttiva 1977/187/CEE e, in continuità, anche successivamente all’adozione della direttiva 97/50/CE, verso una interpretazione del requisito dell’identità dell’entità economica trasferita che prenda in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione, fra le quali rientrano, in particolare il tipo di impresa, la cessione o meno di elementi materiali, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno delle parti più rilevanti del personale ad opera del nuovo imprenditore, il grado di somiglianza delle attività esercitate prima e dopo la cessione. Anche un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un’attività comune può corrispondere ad un’entità economica che può conservare la propria identità ove il nuovo titolare non si limiti a proseguire l’impresa ma riassuma anche una parte essenziale (in termini di numero e di competenza) del personale specificamente destinato dal predecessore a tali compiti. Tutti gli elementi elencati vanno, comunque, considerati non isolatamente bensì nell’ambito di una considerazione complessiva. La Corte di Giustizia ha chiarito che l’ambito di applicazione della direttiva coincide con la modificazione del titolare dell’azienda, avvenga, o meno, la successione nella titolarità della stessa sulla base di un rapporto contrattuale diretto tra cedente il cessionario; ciò in quanto, ai fini dell’applicazione della direttiva, non è necessaria l’esistenza di rapporti contrattuali diretti tra cedente cessionario, atteso che la cessione può essere effettuata anche in due fasi per effetto dell’intermediazione di un terzo.

Del pari, questa Corte ha affermato (facendo proprio l’orientamento manifestato dalla Corte di Giustizia) che è configurabile il trasferimento di un ramo di azienda pure nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze che siano stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti ed idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili; in presenza di detti elementi si realizza, pertanto, una successione legale del contratto di lavoro – e non un’ipotesi di mera cessione – che non abbisogna del consenso del contraente ceduto ex art. 1406 c.c., (cfr., tra le prime, Cass. n. 493/2005, e poi, in particolare, Cass. n. 5709/2009, citate, nonché Cass. 28.4.2014, n. 9361).

3.2 – La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione degli orientamenti giurisprudenziali elaborati con riferimento all’art. 2112 c.c.. La Corte ha premesso che la vicenda trae origine dalla L.R. n. 11 del 2010, art. 20 (di riordino delle società a totale o maggioritaria partecipazione pubblica regionale, finalizzato alla corrispondenza di una sola società ad ogni area strategica individuata) che al comma 6 ha disposto che “al fine di garantire il livello occupazionale, il personale delle società dismesse, in servizio alla data del 31 gennaio 2009, è trasferito nelle società risultanti alla fine del processo di riordino” così intendendo “collegare la liquidazione di alcune società al contemporaneo trasferimento delle attività dalle stesse svolte, appartenenti ad aree considerate strategiche (nella specie quella dei servizi ausiliari alle strutture sanitarie) in capo alle nuove società risultanti alla fine del processo di riordino, le quali, secondo la norma programmatica di cui al citato comma 6, dovranno “assorbire” il personale già in servizio presso le società disciolte”;

sulla base di tale dato normativo, ha poi accertato che “la convenzione quadro per l’affidamento dei servizi ausiliari della Regione Sicilia alla SAS stipulata il 14.9.2012 tra detta società e la Regione medesima dà atto della necessità di affidare i servizi in questione, già in convenzione con le società M. s.p.a. e Beni Culturali s.p.a. Gestioni e Servizi, a seguito del processo di accorpamento di cui alla L.R. n. 11 del 2010, art. 20, alla società consortile SAS s.p.a.” e che “la SAS, per lo svolgimento dei servizi ausiliari presso le strutture sanitarie regionali già eseguiti dalla M., ha quindi assunto pressochè tutto il personale già in forza a detta società (897 lavoratori), con la sola eccezione di coloro i quali erano già in possesso dei requisiti per accedere alla pensione e dei lavoratori, come i reclamati, che hanno ottenuto provvedimenti giudiziali di conversione di contratti a termine o di somministrazione illegittimi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato”; accertato pertanto che “la SAS è subentrata nell’attività economica già svolta da M. in favore delle strutture sanitarie regionali, adoperando la quasi totalità della forza lavoro in precedenza addetta all’attività medesima e dipendente dalla M. stessa” ha configurato nella fattispecie un trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., rilevando espressamente che a tanto “non osta la circostanza che il fenomeno traslativo abbia riguardato soltanto il personale”, all’uopo richiamando la giurisprudenza comunitaria che in settori di attività ausiliarie, come quella in causa, configura l’entità economica organizzata nel “complesso organizzato di lavoratori subordinati specificamente e stabilmente adibiti all’espletamento di un compito comune”; così accertata la “sussistenza di un trasferimento di un’entità economica organizzata”, ha, infine, rilevato che, d’altra parte, le reclamanti neppure hanno allegato “quali eventuali altri beni materiali e/o patrimoniali in tesi non sarebbero transitati alla SAS, sì da escludere la riconducibilità della vicenda in esame ad una cessione di azienda”.

La Corte ha, quindi, accertato che sussisteva un’entità economica rappresentata dal gruppo di lavoratori dell’imprenditore, la M. s.p.a., che assolveva stabilmente alle attività di servizi ausiliari presso le strutture sanitarie regionali (nella specie, 897 lavoratori) che ha mantenuto la sua identità presso il successore, la SAS, proseguendo la medesima attività lavorativa presso la società subentrante che ha continuato a fornire alle strutture ospedaliere lo stesso servizio. Accertato il fenomeno successorio relativo all’azienda, la Corte, senza alcuna inversione dell’onere probatorio, ha (ad abundantiam) rilevato la mancanza di allegazione di elementi contrari da parte delle reclamanti.

3.3 – Quanto alla censura relativa all’art. 2697 c.c., tale disposizione regola le materie: a) dell’onere della prova; b) dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze; c) della forma che ciascuno di essi deve assumere; non anche la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, che è viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., e la cui erroneità ridonda quale vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (ex multis, Cass. 2707/2004). La sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 360, comma 1, n. 5 (convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) e la censura appare, pertanto, inammissibile, posto che non ricorre (né è stata denunciata) una ipotesi di motivazione apparente o la assoluta mancanza dei motivi o un contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o una motivazione perplessa (cfr. Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053 in ordine alla riduzione “al minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione).

4. – In ordine al secondo motivo, non appare pertinente al caso di specie il richiamo del D.Lgs n. 276, art. 29, comma 3. La disposizione prevede che: “L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.

Come accertato dalla Corte territoriale, sulla scorta della stessa prospettazione effettuata dalla società ricorrente, la L.R. n. 11 del 2010, art. 20 (che, rubricato “Riordino delle società a totale e maggioritaria partecipazione della Regione” ha previsto la riduzione in ciascuna area strategica della Regione – ad una sola società) ha natura non già precettiva bensì soltanto programmatica e non può interpretarsi nel senso di aver imposto autoritativamente la successione, nei vari appalti, da una società all’altra. La fattispecie non integra, pertanto, i requisiti previsti dalla disposizione normativa.

In ogni caso, il caso rientrava nella disciplina speciale dettata dalla L.R. n. 11 del 2010.

5. – Infine, con riguardo al terzo motivo, questa Corte ha, anche recentemente, ribadito che sussiste quel particolare fenomeno giuridico che va sotto il nome di “in house providing” tutte le volte in cui una società è costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici esercizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possono essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici (Cass. S.U. 20.10.2015, n. 21217, Cass. S.U. 26.3.2014, n. 7177, Cass. S.U. 10.3.2014, n. 5491, Cass. S.U. 25.11.2013, n. 26283). In particolare è stato chiarito che il “controllo analogo” consiste in un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e con un’intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano al socio in base alle regole dettate dal codice civile, e sino al punto che agli organi della Società non resta affidata nessun autonoma rilevante autonomia gestionale.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dell’orientamento giurisprudenziale consolidato avendo accertato che lo Statuto della Servizi Ausiliari Sicilia attribuisce ai soci azionisti nonché al collegio sindacale poteri corrispondenti a quelli previsti dall’ordinamento per ogni società per azione.

Invero, la Corte, sulla base della documentazione prodottataccertato che il controllo è attribuito “ai soci azionisti (come accade in ogni società per azioni) attraverso un comitato e lo finalizzata alla verifica della rispondenza degli atti del consiglio di amministrazione alle direttive e agli indirizzi dell’amministrazione regionale, nonché al controllo dello stato di attuazione degli obiettivi. Gli artt. 30 e 31, poi, attribuiscono al collegio sindacale il controllo contabile e la revisione legale dei conti, a condizione che in quest’ultimo caso sia integralmente costituito da revisori o da un revisore legale o da una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro, ancora una volta in perfetta aderenza alle disposizioni che regolano le società per azioni di diritto comune”.

Avverso tale statuizione, poi, la censura della ricorrente, al di là della denuncia formale avanzata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 si risolve nella riproposizione di una diversa interpretazione e valutazione del contenuto delle clausole dello statuto (con una inammissibile richiesta di riesame del merito, senza che, peraltro, venga dedotta alcuna violazione dei canoni ermeneutici), nonché, in sostanza, nella doglianza di un vizio di insufficienza della motivazione, che, d’altra parte, neppure sarebbe sussumibile nel nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. S.U. 7.4.2014, n. 8053).

6. I motivi denunciati con ricorso incidentale dai controricorrenti possono essere esaminati congiuntamente trattandosi di aspetti tra loro connessi.

L’art. 92 c.p.c., comma 2, (come sostituito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis), nella parte in cui prevede la possibilità di compensare le spese di lite allorché concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, fa riferimento a specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass. ord. 11 luglio 2014, n. 16037).

Come statuito dalle Sezioni Unite (sentenza 22 febbraio 2012, n. 2572) si tratta di norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico- sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche. In particolare, le ragioni addotte nella specie per giustificare la disposta compensazione (complessità e peculiarità delle questioni trattate) si inscrivono in un ambito da sempre valutato a tali fini dalla giurisprudenza di legittimità, sia pure formatasi con riguardo alla precedente versione dell’art. 92 c.p.c.. I motivi di compensazione suddetti, in quanto tutti idonei a far emergere apprezzabili ragioni, ancorché successivamente ritenute infondate, per agire o resistere in giudizio, sono in realtà, pure se fondati su dati oggettivi, intesi a valorizzare al fine della compensazione delle spese un atteggiamento soggettivo del soccombente che ha agito o resistito in giudizio, e in tal senso esprimono un valore che è stato espressamente ritenuto meritevole di considerazione dallo stesso legislatore ai fini dell’incidenza delle spese, come chiaramente ricavabile, sia pure a contrario, dalla disciplina in tema di responsabilità aggravata di chi agisce o resiste in giudizio con dolo o colpa grave (intesi dalla giurisprudenza anche come consapevolezza del proprio torto ovvero consapevolezza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione). La “peculiarità” e la “complessità” delle questioni sono dunque ragioni idonea a giustificare la compensazione delle spese se ed in quanto sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio e pertanto deve essere valutata con riferimento al momento in cui è stata introdotta la lite ovvero è stata posta in essere l’attività che ha dato origine alle spese di cui si discute, essendo però evidente che le questioni la cui novità occorre valutare non possono essere che quelle sulle quali si è determinata la soccombenza ossia le questioni decise.

Nella specie risulta che la Corte territoriale ha affrontato la questione relativa all’interpretazione della L.R. n. 11 del 2010, art. 20, da valutare nel complessivo quadro normativo fornito dall’art. 2112 c.c. e nell’ambito del recente orientamento elaborato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alle società in house providing. Deve essere pertanto confermata, nella specie, la sussistenza di una “complessità ed una peculiarità delle questioni” idonee a costituire valida ragione di compensazione delle spese alla luce della lettura della giurisprudenza di legittimità in materia siccome sopra effettuata.

Per la disamina innanzi esposta con riguardo alla condizione soggettiva della parte soccombente, risulta che non ricorrevano i requisiti richiesti dall’art. 96 c.p.c., comma 3, per la condanna della società soccombente ad una somma equitativamente determinata, e ciò in ossequio all’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte che ritiene come “La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, ha natura sanzionatoria e officiosa, sicché essa presuppone la mala fede o colpa grave della parte soccombente, ma non corrisponde a un diritto di azione della parte vittoriosa”(Cass. 11 febbraio 2014, n. 3003).

7. Respinti entrambi i ricorsi (come, questa Corte, ha già statuito, con riguardo al medesimo licenziamento collettivo, cfr. Cass. 7 dicembre 2015 n. 24803 e n. 24804), in ragione della soccombenza reciproca, tra le parti costituite, vanno compensate per metà le spese del presente giudizio di Cassazione e la ricorrente principale va condannata al pagamento della residua metà in favore dei controricorrenti-ricorrenti incidentali, mentre non deve provvedersi sulle spese nei confronti della M. s.p.a. che non ha svolto attività difensiva.

8. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Essendo i ricorsi in questione (aventi natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; condanna la ricorrente principale a pagare ai controricorrenti ricorrenti incidentali la metà delle spese del presente giudizio di Cassazione, liquidata in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, compensando l’altra metà; nulla per le spese nei confronti della M. s.p.a..

Dichiara dovuto dalla ricorrente principale e dai ricorrenti incidentali l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato.

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