Corte di Cassazione

30 Aprile 2019

Cass. Civ, Sez. I, Sentenza 23 ottobre 2014, n. 22573

Corte di Cassazione, I Sezione Civile, sentenza 23 Ottobre 2014, n. 22573

Svolgimento del processo

1.- M.S., premesso di essere socio al 50% della G.1 s.r.l. in liquidazione, che in base a delibera del 26.5.2000 la società aveva sottoscritto dei contratti preliminari di vendita di vari appezzamenti di terreno obbligandosi, in qualità di promissaria acquirente, a stipulare i rogiti notarili entro il 31.12.2000, che in conseguenza di tali atti era sorto un vasto contenzioso con gli altri due soci, E.G. e F.T., componenti con lui il consiglio d’amministrazione della società (il G. essendone presidente), i quali avevano agito in conflitto d’interessi con la società, violando l’art. 2631 c.c.; che, infatti, non essendosi provveduto, per fatto imputabile ai predetti G. e T., a stipulare gli atti definitivi di vendita, il G. (nella ridetta qualità di presidente del consiglio d’amministrazione della G. s.r.l.) aveva risolto i preliminari di vendita dei terreni, i quali successivamente erano stati acquistati dalla S. s.r.l., società di cui erano soci gli stessi G. e T. che dall’operazione originaria la G. s.r.l. aveva preventivato un utile di otto miliardi di lire, mentre a causa della condotta dei due predetti soci l’affare era stato concluso dalla soc. S.; che il processo penale originato da tali fatti a carico dei G. e T. si era concluso con l’assoluzione, non essendo più il fatto previsto come reato; tanto premesso, convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Alba, E.G. e F.T. per sentirli condannare al risarcimento dei danni, quantificati in euro 2.065.827,60, che il S. aveva sofferto nella sua qualità di socio della G. s.r.l., invocando al riguardo gli artt. 2361 e 2395 c.c.

Il Tribunale – per quanto ancora interessa – con sentenza del 31.7.2004 dichiarò inammissibile la domanda, qualificata ai sensi dell’art. 2395 c.c., rilevando che nella specie il danno si era prodotto nella sfera patrimoniale dell’attore soltanto di riflesso, atteso che pregiudicata in via immediata dalla condotta dei convenuti era la stessa società mentre il richiamo all’art. 2043 c.c., formulato in alternativa nella comparsa conclusionale dell’attore, non poteva essere preso in considerazione perché del tutto nuovo e intempestivo.

Con la sentenza impugnata (depositata l’11.4.2008) la Corte di appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado, pur rilevando l’ammissibilità del richiamo all’art. 2043 c.c., peraltro irrilevante. Infatti, secondo la Corte di merito in tema di responsabilità degli amministratori per danni a soci o a terzi è sempre e comunque all’art. 2395 c.c. e ai suoi limiti applicativi che occorre far riferimento, ma la fattispecie non presentava alcuna peculiarità tale da porre in discussione l’operatività di tale norma.

L’attore, infatti, ha dedotto quale condotta colposa o dolosa dei convenuti l’aver risolto contratti preliminari di vendita vantaggiosi per la società G. s.r.l., in nome della quale aveva agito, in particolare, E.G., operando in aperto conflitto d’interessi con essa. Il danno, pertanto, era stato direttamente arrecato alla società, indipendentemente dal fatto che la stessa fosse stata costituita solo per detto affare e a prescindere dalla misura della partecipazione del S. al capitale sociale. Avverso detta sentenza M.S. ha proposto ricorso per cassazione.

Resistono con controricorso gli intimati, i quali hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per inidoneità dei quesiti ex art. 366 bis c.p.c.

Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. – Con unico motivo di ricorso articolato su due punti il ricorrente lamenta che la corte di merito abbia ritenuto insussistente un proprio danno diretto e abbia, inoltre, trascurato le risultanze del processo penale per il reato di cui all’art. 2631 c.c. ascritto ai convenuti, il cui comportamento integrava un illecito produttivo di danno all’attore.

Formula – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis – i seguenti quesiti cumulativi:

1) se sia lecita l’applicazione della fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., in alternativa e/o unitamente a quella prevista dall’art. 2395 c.c. nel caso di totale rimozione del contenuto del patrimonio societario;

2) se il combinato disposto di cui agli articoli 2043 e 2395 c.c. limiti al Giudicante la indagine sul reale danno sofferto dal socio, anche in considerazione del valore della sua quota;

3) se la abolitio criminis non possa consentire al giudicante civile di procedere comunque all’esame dei fatti posti a fondamento della azione stessa, e di conseguenza giungere alla condanna per il risarcimento del danno a favore della parte>>.

3.- Osserva la Corte che l’unico motivo di ricorso è infondato, oltre che inammissibile nel profilo relativo al contenuto della sentenza penale di cui è stata riprodotta copia nel ricorso (quesito sub 3) e di cui si chiede una valutazione non consentita in sede di legittimità.

Invero, la decisione impugnata ha fatto corretta applicazione del principio per il quale l’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 cod. civ. esige che il singolo socio sia stato danneggiato “direttamente” dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore (Sez. 3, Sentenza n. 4548 del 22/03/2012).

Lo stesso ricorrente, invero, (v. memoria pag. 3) si è limitato ad auspicare la verifica della “sostenibilità, in termini di giustizia, dello stesso principio già enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo il quale «qualora una società di capitali subisca, per effetto dell’illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l’incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito» (Sez. U, Sentenza n. 27346 del 24/12/2009), a prescindere dall’entità della quota del socio che assume di essere stato danneggiato (quesito sub 2) e dalla natura (certamente aquiliana cfr. Sez. 1, n. 6870/2010) dell’azione esperita (quesito sub 1).

Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità – nella misura determinata in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi euro 20.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e spese forfettarie.

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