Consiglio di Stato

1 Maggio 2019

Consiglio di Stato, IV Sez., sentenza n. 1754 del 26 marzo 2012

N. 01754/2012REG.PROV.COLL.

N. 01907/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1907 del 2011, proposto da: 
Paola Petruzzellis, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Sanino, con domicilio eletto presso Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;


contro

Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall’Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Commissione Esaminatrice Concorso Bandito con D.D. del 10/07/2006;


nei confronti di

Gianluca Anderlini, Armando Bonsignori;


per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 26372/2010, resa tra le parti, concernente MANCATA AMMISSIONE ALLE PROVE ORALI DEL CONCORSO A N. 230 POSTI DI NOTAIO


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 novembre 2011 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Mario Sanino e Giustina Noviello (Avv. Stato);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’appello in esame, la ricorrente Paola Petruzzellis impugna la sentenza 16 luglio 2010 n. 26372, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I, ha rigettato il suo ricorso proposto avverso il provvedimento di non ammissione alle prove orali del concorso per 230 posti di notaio, bandito con decreto 10 luglio 2006 del Direttore generale della giustizia civile del Ministero della Giustizia.

La sentenza appellata – che ha concluso per la legittimità del giudizio negativo formulato dalla Commissione giudicatrice sulle prove scritte – in particolare afferma:

– sussiste un “preciso e puntuale onere per la Commissione di procedere alla predeterminazione dei criteri di valutazione degli elaborati, ai sensi dell’art. 10, co. 2, d. lgs. n. 166 del 2006, ed alla individuazione dei criteri sulla cui base individuare le ipotesi di nullità o di grave insufficienza che consentono, secondo quanto previsto dal comma 7 dell’art. 11 del citato decreto – ed in deroga all’obbligo di procedere alla valutazione in esito alla lettura dei tre elaborati, previsto dal precedente comma 2 del medesimo articolo – di addivenire ad un giudizio di non idoneità senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”;

– ne consegue che la “possibilità di escludere un candidato dalla partecipazione alle prove orali, nel caso in cui dal primo o dal secondo elaborato emergano nullità o gravi insufficienze, postula, con ogni evidenza, che siffatte categorie vengano adeguatamente precisate mediante l’individuazione delle tipologie di carenze suscettibili di essere ricondotte nell’ambito della generica declaratoria di legge”;

– “i criteri di valutazione delle prove scritte relativamente a concorsi che, come quello notarile, richiedono una elevata specializzazione, non necessitano di una particolare analiticità”;

– la prioritaria determinazione dei criteri in base ai quali la Commissione giudicatrice giudicherà la sussistenza di nullità e gravi insufficienze, tali da rendere superflua la correzione del o degli ulteriori elaborati, rispetto ai criteri generali di correzione, pur costituendo una inversione logica rispetto ad un migliore ordine espositivo, non integra, tuttavia, particolari profili di illegittimità, posto che la definizione dei criteri è “frutto dell’ampia discrezionalità amministrativa di cui è fornita la Commissione” e costituisce scelta assoggettabile al sindacato giurisdizionale amministrativo solo nel caso in cui la stessa sia ictu oculi inficiata da “irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti”;

– in sede di concorso, “l’apprezzamento tecnico della Commissione è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà”, dato che “il giudizio di legittimità non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell’adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando, nella parte in cui la sentenza “pur ritenendo non pienamente coerente l’operato della Commissione nella fissazione dei criteri di massima, ha poi salvato l’operato dell’Amministrazione”, ciò in quanto, mentre l’ipotesi di presenza di nullità o gravi insufficienze (tale da escludere l’esigenza di una correzione contestuale di tutti gli elaborati) “deve essere considerata quale chiara eccezione alla regola generale che prevede la valutazione complessiva e ponderata dell’idoneità del candidato”, al contrario l’operato della Commissione, nella specie, “è stato tale da avere completamente stravolto la ratio della nuova disciplina, trasformando l’eccezione in regola e continuando sostanzialmente ad operare sulla base della previgente normativa in ordine al procedimento di valutazione delle prove scritte, come si evince dai criteri valutativi per le gravi insufficienze che sono pressochè identici a quelli adottati nella precedente tornata concorsuale”. In particolare, come si evince dalla lettura degli stessi, la Commissione “si è dotata di ampi criteri da utilizzare unicamente per poter evitare di procedere alla lettura del secondo o del terzo elaborato dei singoli candidati”, individuando “una lunga serie di ipotesi, peraltro assolutamente generiche, di casi di gravi insufficienze”. In definitiva, “anche a volere ammettere la possibilità per le Commissioni di dotarsi di specifici criteri applicativi del disposto del comma 7 dell’art. 11 del d. lgs. n. 166/2006”, circostanza non prevista dalla disciplina vigente, “questi avrebbero dovuto essere necessariamente puntuali e precisi, in altre parole avrebbero dovuto essere tassativi e riguardare casi limite”; al contrario, nel caso di specie, tali criteri “sono assolutamente vaghi, generici e omnicomprensivi”, tali da non far comprendere quale sarebbe l’area residua delle insufficienze non gravi;

b) error in iudicando, in quanto, “a voler seguire i passaggi della sentenza era onere della Commissione individuare separati criteri per le nullità e le gravi insufficienze da una parte e generali criteri di valutazione dall’altra”, laddove “attesa la tipologia dei criteri fissati dalla stessa amministrazione – assai ampi e sostanzialmente omnicomprensivi i primi e assolutamente generici e ripetitivi i secondi – il TAR è poi costretto ad affermare, in modo assolutamente contraddittorio, che in sede di valutazione collegiale l’amministrazione potesse recuperare, con funzione integrativa, le species dal medesimo organismo elaborate quali tipologie sintomatiche della presenza di nullità o gravi insufficienze”. Operando in tal modo, “l’apprezzamento della gravità sarebbe lasciato all’arbitrio della Commissione non essendoci alcun parametro prefissato che ancori l’operato della Commissione sotto il profilo della valutazione qualitativa”; in definitiva, la Commissione “non ha individuato dei criteri generali ed astratti per la valutazione qualitativa e dei criteri specifici con riferimento alle ipotesi di nullità o di gravi insufficienza”;

c) error in iudicando, con riferimento alla censura afferente alle illegittimità perpetrate dalla Commissione nella valutazione dell’elaborato del candidato (pagg. 24 – 37 appello).

Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’odierna udienza la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata.

Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di occuparsi degli esiti del concorso per 230 posti di notaio, bandito con decreto 10 luglio 2006 (si veda, tra le altre, sez. IV, 27 giugno 2011 n. 3857), esponendo considerazioni che devono essere riconfermate anche nella presente sede.

In particolare, giova premettere che il concorso che qui interessa è stato il primo a svolgersi in applicazione dell’innovativa disciplina introdotta dal decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 166, il quale – tra l’altro – all’art. 7 prevede due distinte modalità con le quali ciascuna delle sottocommissioni incaricate della correzione degli scritti può pervenire a un giudizio di non idoneità: in generale, ciò avviene all’esito della lettura dei tre elaborati relativi alle prove scritte (comma 2), ma il predetto giudizio negativo può essere espresso anche all’esito della lettura del primo o del secondo elaborato (e, quindi, omettendo di completare la lettura delle tre prove), qualora da tale lettura emergano “nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione” (comma 7).

Nel caso di specie, la Commissione ha preliminarmente proceduto, ai sensi dell’art. 10 dello stesso decreto, a stabilire sia i criteri generali per la valutazione delle prove scritte sia quelli specifici per l’individuazione delle ipotesi di nullità o di grave insufficienza suscettibili di determinare l’immediata esclusione ai sensi del ricordato comma 7.

Giova, innanzi tutto, richiamare il pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui nei pubblici concorsi la predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove è connotata da un’ampia discrezionalità, per cui i criteri adottati sfuggono al sindacato giurisdizionale, salvi i casi di manifesta illogicità e irrazionalità (ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 23 agosto 2010, n. 5905; 11 maggio 2009, nr. 2880; 6 maggio 2004, nr. 2798 e 8 febbraio 2000, nr. 679).

Da tale consolidato orientamento la Sezione non ravvisa ragione per discostarsi, non risultando decisive in tal senso le tesi sviluppate nell’odierno appello.

In particolare, quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 14893 del 21 giugno 2010, richiamata da parte appellante, non contraddice affatto i generali principi testé richiamati in ordine alla riserva all’amministrazione procedente delle valutazioni squisitamente tecnico-discrezionali ricomprese nelle procedure concorsuali, ed ai conseguenti limiti al relativo sindacato giurisdizionale; dette valutazioni, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio), e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile (ex plurimis Cons. Stato, sez.. IV, 3 dicembre 2010, n. 8504; 29 febbraio 2008, n. 774; 22 gennaio 2007, n. 179).

Con riguardo alla determinazione dei criteri di correzione delle prove per il concorso che qui occupa, la Commissione esaminatrice vi ha proceduto nella seduta dell’8 novembre 2007, procedendo dapprima a individuare come segue le ipotesi di immediata esclusione ai sensi dell’art. 11, comma 7, d.lgs. nr. 166 del 2006:

“…non si procederà alla lettura del secondo o del terzo elaborato, dichiarando non idoneo il candidato:

– in caso di nullità, comprese quelle formali, a meno che dal complessivo esame dell’intero elaborato si evinca inequivocabilmente che tali nullità derivino da errori materiali;

– nel caso in cui l’elaborato presenti una delle seguenti gravi insufficienze e precisamente:

– – travisamento della traccia o contraddittorietà tra le soluzioni adottate o le soluzioni medesime e le relative motivazioni;

– – gravi errori di diritto nella scelta delle soluzioni e/o nell’illustrazione delle parti teoriche;

– – totale mancanza delle ragioni giustificative della soluzione adottata e/o delle argomentazioni giuridiche a supporto dei ragionamenti svolti nell’elaborato;

– – gravi carenze della parte teorica anche per omessa trattazione di punti significativi della stessa;

– – evidente inidoneità nell’analisi e nella risoluzione dei problemi e/o dei temi posti nella traccia;

– – gravi errori di grammatica e/o di sintassi”.

Di poi, si è proceduto alla fissazione dei più generali criteri di correzione delle prove, stabilendo che per ciascuna questione evocata da esse la valutazione sarebbe stata condotta tenendo conto:

– della “rispondenza al contenuto della traccia”;

– della “aderenza ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico vigente nonché alle tecniche redazionali”.

Il primo giudice ha ritenuto complessivamente adeguati e ragionevoli i criteri così stabiliti, sia pure evidenziando che più logico sarebbe stato forse procedere prima alla fissazione dei parametri generali di valutazione e quindi, all’interno di essi, all’individuazione delle ipotesi-limite suscettibili di indurre l’applicazione del comma 7 del più volte citato art. 11: ciò anche perché queste ultime risultano differire dalle prime soltanto per intensità e gravità, nel senso che un medesimo errore può o meno portare all’immediata esclusione del candidato a seconda della sua incidenza qualitativa nell’economia generale dell’elaborato.

Questa Sezione condivide l’avviso del giudice di prime cure, dovendo respingersi le censure di genericità e inadeguatezza dei criteri di valutazione formulate con i primi due motivi di appello; in particolare, se appare certamente ragionevole l’esigenza, espressa dalla Suprema Corte nella pronuncia sopra citata, di una formulazione quanto più analitica e puntuale dei criteri di giudizio (anche per far sì che gli eventuali giudizi di inidoneità, ancorché sintetici, siano comprensibili proprio alla luce di una loro lettura in “combinato disposto” con i criteri stessi), costituisce un ingiustificato salto logico la pretesa che la parte appellante ne trae, a che i criteri siano sempre e comunque “calibrati” in ragione delle tracce delle prove concorsuali, e quindi contemplino le specifiche soluzioni ammissibili e non ammissibili alle varie questioni prospettate dalle tracce medesime.

Ciò, da un lato, in quanto i parametri di valutazione devono mantenere una certa flessibilità ed elasticità, non sempre essendo possibile predeterminare a priori la gamma delle soluzioni a ciascuna questione giuridica che potrebbero risultare suscettibili di positiva delibazione; e, per altro verso, perché il concorso per cui è causa non può essere qualificato alla stregua di un insieme di quiz a fronte dei quali la Commissione esaminatrice è chiamata unicamente a verificare l’esattezza delle risposte fornite dai candidati.

D’altra parte, è lo stesso giudice di prime cure a sottolineare – condivisibilmente – come uno degli aspetti decisivi sul giudizio in ordine alle prove d’esame sia la modalità espositiva di esse, almeno al pari della coerenza e correttezza delle prospettazioni giuridiche offerte (e fatti salvi i soli casi di macroscopici e grossolani spropositi).

Né è rinvenibile nella “griglia” di criteri predisposti quell’ “arbitrio” della valutazione della gravità (in quanto sganciata da ogni parametro), lamentato dall’appellante, ricorrendo al contrario un corretto e ragionevole esercizio di discrezionalità tecnica, che proprio nell’elaborazione e confronto del duplice elenco di criteri trova il proprio indicatore.

Per le ragioni sin qui esposte, i primi due motivi di appello (sub lett. a-b dell’esposizione in fatto) devono essere rigettati.


3. I rilievi che precedono aiutano a comprendere anche l’infondatezza dei motivi (sub c) dell’esposizione in fatto) con i quali si censura la parte della sentenza impugnata relativa alla reiezione delle doglianze mosse avverso il giudizio di inidoneità formulato in ordine alla prova scritta dell’atto mortis causa .

Ad avviso del Collegio, nel caso che qui occupa non ricorre alcuna delle ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabile ictu oculi dalla sola lettura degli atti, in presenza solo delle quali si è visto essere ammissibile il sindacato del giudice in subiecta materia.

Più specificamente, è proprio in applicazione del rigoroso orientamento sopra richiamato che non vi è spazio per una disamina approfondita delle censure con le quali la appellante tende a contestare la giustezza dei giudizi espressi dalla Commissione in relazione a singoli aspetti delle prove di esame (e cioè, alla correttezza di talune soluzioni giuridiche proposte negli elaborati di esame, che la sottocommissione incaricata della correzione ha ritenuto invece di stigmatizzare come errori o inesattezze).

Con ogni evidenza, si tratta di aspetti la cui valutazione rientra nella sfera rimessa alla piena discrezionalità della Commissione e rispetto ai quali non è in alcun modo ammissibile una “sostituzione” dell’organo giurisdizionale, come sembra quasi pretendere la parte odierna appellante.

In altri termini il fatto stesso che al giudicante si richieda, al fine di apprezzare l’asserita erroneità dei giudizi espressi dalla Commissione sui singoli punti oggetto di sfavorevole delibazione, di seguire l’appellante in un complesso percorso logico-giuridico indirizzato all’analisi della traccia ed all’individuazione delle varie soluzioni astrattamente (e opinabilmente) possibili, consente di escludere che nella specie possano sussistere quei manifesti profili di erroneità e irragionevolezza in presenza dei quali solo – come si è visto – è consentito l’intervento censorio in sede giurisdizionale.

Per le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza appellata.

Sussistono, tuttavia, stante la peculiarità delle questioni trattate, giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Petruzzellis Paola (n. 1907/2011 r.g.), lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF

Raffaele Greco, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

    
    
L’ESTENSORE  IL PRESIDENTE 
    
    
   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/03/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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