Corte di Cassazione

23 Aprile 2019

Cass. Pen., III sez. Pen., sentenza 5.10.2016 n. 41755

Corte di Cassazione, III Sezione penale, sentenza 5 ottobre 2016, n. 41755

sul ricorso proposto dal:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania;

nei confronti di:

C.S.M., nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del Tribunale di Catania del 27 novembre 2014;

letti gli atti di causa, ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MAZZOTTA Gabriele, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

sentito, altresì, per il resistente l’avv. Carmelo PELUSO, del foro di Catania, che ha chiesto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Catania, con ordinanza del 27 novembre 2014, ha rigettato l’appello

proposto dal Procuratore della Repubblica di Catania avverso l’ordinanza con la quale il Gip di quello stesso Tribunale aveva, a sua volta, respinto la richiesta di sequestro

preventivo, ex art. 321 c.p.p., comma 2, dei beni facenti capo a C.S.M., sino alla

concorrenza di Euro 3.158.178, ritenuta dal Pm valore corrispondente al profitto del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, che il C.S. avrebbe conseguito omettendo didichiarare, in qualità di azionista di riferimento e amministratore di fatto delle società Etis 2000 Spa e Rete Sicilia Srl, nella dichiarazione di imposta relativa all’anno 2007, la plusvalenza di Euro 17.259.579,45, realizzata da Rete Sicilia Srl tramite la vendita a Telecom Italia Media Broadcasting Srl (di seguito TIMB), ed ad altra società da questa controllata, delle attrezzature e degli impianti per la irradiazione in Sicilia dei segnali televisivi.

In particolare era stato imputato al C.S. di avere provveduto a cedere il predetto compendio dapprima dalla Rete Sicilia Srl alla Etis 2000 Spa, società entrambe da lui controllate, al prezzo di 6.200.000,00 Euro, e quindi, a distanza pochi giorni con contratto preliminare e di pochi mesi con contratto definitivo, dalla Etis 2000 alla TIMB e alla sua controllata per il prezzo complessivo di 17.500.000,00 Euro; siffatto meccanismo avrebbe consentito, a causa della esistenza di cospicue perdite di bilancio a carico della Etis 2000, di neutralizzare la imposta che sarebbe, viceversa, stata gravante su Rete Sicilia se quest’ultima avesse dovuto dichiarare integralmente la plusvalenza a lei riveniente dalla avvenuta cessione dei detti beni alla TIMB. Nel rigettare la richiesta di gravame presentata dalla Procura etnea avverso il provvedimento del locale Gip il Tribunale del riesame ha, in sostanza, rilevato che, diversamente da quanto sostenuto dalla Procura della Repubblica, non sussistevano, sulla base degli atti acquisiti e dei fatti verificati in sede di indagine, gli elementi per potere ritenere che la articolata operazione posta in essere fosse del tutto priva di ragioni di natura imprenditoriale apprezzabili sotto il profilo economico gestionale, in

tal modo escludendo la finalità puramente elusiva della stessa, tanto più in presenza di una decisione assunta dalla Commissione tributaria provinciale di Catania con la quale era stato annullato l’accertamento fiscale operato a carico della Rete Sicilia Srl e nel quale le era stata addebitata, siccome realizzata in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e quindi volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale, la operazione eseguita unitamente alla Etis 2000 Spa.

Avverso detta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione il Procuratore della

Repubblica di Catania, deducendo in primo luogo la violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere che una determinata fattispecie non possa essere qualificata penalmente rilevante laddove i profili della sua illiceità derivino da una evoluzione nella interpretazione giurisprudenziale della normativa rilevante intervenuta successivamente alla realizzazione delle condotte di cui alla citata fattispecie; ha osservato il ricorrente che anche sulla base della giurisprudenza della Cedu non vi è violazione dell’art. 7 della Convenzione laddove la interpretazione giurisprudenziale, in forza della quale è recuperata ad illiceità una ipotesi sino ad allora esclusa, fosse stata ragionevolmente prevedibile al momento in cui il fatto è stato commesso.

Quale ulteriore censura il ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione della ordinanza

impugnata, tale da comportare la mera apparenza di essa, nella parte in cui in essa esclude in maniera superficiale, illogica e non rispettosa delle numerose emergenze processuali che ne avrebbero dovuto orientare in senso opposto la valutazione, la natura meramente elusiva della operazione posta in essere dal C.S. nella sua qualità di amministratore di fatto sia della Rete Sicilia Srl che della Etis 2000 Spa.

Infine, sempre sotto il profilo della violazione di legge in ragione della mera apparenza della motivazione, il Procuratore della Repubblica, ha contesta la ordinanza del Tribunale nella parte in cui questo ha affermato di condividere, senza chiarirne le ragioni, l’assunto della Commissione tributaria provinciale di Catania, la quale, ritenuto che dalla operazione in questione non fosse emersa alcuna riduzione o abbattimento delle imposte dovute, ha annullato l’avviso di accertamento indirizzato dalla Agenzia delle Entrate a Rete Sicilia Srl, ritenendo non apprezzabili, senza precisarne il perchè, le critiche mosse in sede penale a tale decisione, peraltro neppure definitiva in quanto oggetto di gravame da parte della Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Osserva, invero, la Corte che, secondo la espressa previsione di cui all’art. 325 c.p.p.,

comma 1, contro le ordinanze emesse in sede di appello o di riesame cautelare aventi ad oggetto provvedimenti, di accoglimento o di reiezione, di misure cautelari reali le parti legittimate a proporre ricorso per cassazione possono esperire tale mezzo di impugnazione limitatamente alla allegazione del solo vizio di violazione di legge che minerebbe il provvedimento impugnato.

In sede di interpretazione normativa questa Corte ha, peraltro, in svariate occasioni chiarito che non è ricompreso nel concetto di violazione di legge il caso in cui il ricorrente denunzi, sotto il profilo del vizio di motivazione, non tanto la assoluta mancanza grafica della esposizione delle ragioni che hanno condotto alla adozione del provvedimento impugnato (che è infatti fattispecie di assai remota verificazione), quanto la mera apparenza della pur esistente motivazione stessa, ipotesi quest’ultima che si verifica allorché la motivazione del provvedimento, sebbene materialmente esistente, risulti essere, per la sua oscurità ovvero per altre peculiari ragioni (ad esempio: la mancanza di una pertinente ricostruzione del fatto ovvero la ricostruzione manifestamente erronea di esso), assolutamente inidonea a rappresentare l’iter logico giuridico che ha condotto il giudicante a decidere nel senso di cui al provvedimento impugnato (così, ex multis: Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 3 luglio 2015, n. 28241; idem Sezione 4^ penale, 17 ottobre 2014, n. 43480; idem Sezione 6^ penale, 11 febbraio 2013, n. 6589).

E’ stato, infatti, rilevato come una motivazione la quale non adempia alla funzione

esplicativa degli argomenti seguiti nel decidere, sia meramente apparente, equivalendo, pertanto, essa ad una motivazione inesistente, così la medesima vale ad integrare le condizioni per la nullità del provvedimento, stante la violazione del disposto dell’art. 125 c.p.p., comma 3; disposizione quest’ultima che impone che le sentenze e le ordinanze siano, appunto a pena di nullità, corredate di idonea motivazione.

Con riferimento al caso in esame, tuttavia, ritiene il Collegio che, sebbene il ricorso del Pubblico ministero risulti essere formalmente presentato deducendo quali censure nei confronti del provvedimento impugnato la violazione di legge con esso, in realtà, è stata contestata la congruità della motivazione con la quale il Tribunale di Catania ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza reiettiva della richiesta di sequestro preventivo dei beni del C.S..

Ne sono chiari ed inequivocabili indici i passi dell’atto impugnatorio nei quali il Pubblico ministero evidenzia la indeterminatezza della motivazione della ordinanza impugnata in ordine alla condivisione o meno da parte dell’organo giudicante dell’orientamento giurisprudenziale che ha attribuito rilevanza non solo alle condotte di vera e propria evasione fiscale ma anche alle condotte attraverso le quale si tende ad eludere i precetti tributari, sforzandosi, poi, di dimostrare come la posizione assunta al riguardo dal Tribunale etneo fosse erronea; parimenti indicativi del fatto che le censure del Pubblico ministero hanno ad oggetto il contenuto della motivazione della ordinanza impugnata e non il malgoverno di disposizioni legislative, è la circostanza dedotta dal ricorrente secondo la quale il Tribunale avrebbe omesso di esaminare adeguatamente gli elementi indiziari a carico del C.S. prospettati dalla pubblica accusa, valorizzando, viceversa, quelle che vengono definite dal ricorrente delle mere asserzioni difensive; ed ancora sintomatica

nello stesso senso sopra indicato è la doglianza formulata dal ricorrente secondo la quale il Tribunale ha motivato la propria decisione in conformità con quanto deliberato, in sede specificamente tributaria, dalla Commissione tributaria provinciale di Catania – la quale aveva escluso che a carico dello società gestite dal C.S. fosse risultato, a seguito della operazione da cui sono scaturite le indagine nel corso delle quali è stato chiesto il provvedimento cautelare per cui è processo, alcuna plusvalenza ulteriormente tassabile – senza neppure tenere conto del fatto che la predetta decisione dell’organo della giustizia tributaria neppure è divenuta definitiva essendo stata la stessa impugnata da parte della Agenzia delle Entrate.

A fronte di tali elementi, tutti chiaramente evidenzianti la eterogeneità dei motivi di

impugnazione proposti dal Pubblico ministero di Catania rispetto alla violazione di legge – unico vizio deducibile avverso la impugnata sentenza non ha rilievo la circostanza che il Tribunale non abbia potuto ovviamente tenere conto, stante la sua entrata in vigore in epoca successiva rispetto alla adozione del provvedimento ora impugnato, di quanto disposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, comma 13, cioè il cosiddetto “Statuto del contribuente”, come introdotto per effetto del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, la cui entrata in vigore è fissata al 1 ottobre 2015.

A tal riguardo avrebbe, infatti, assunto, in linea di principio, particolare rilevanza ai fini della decisione della presente controversia, laddove il ricorso del Pubblico ministero non fosse stato inammissibile in radice, quanto disposto appunto dall’art.10 bis, comma 13, del riformato Statuto del contribuente, secondo il quale “Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributaria”, posto che, all’evidenza una siffatta disposizione, facendo venire meno la rilevanza penale delle condotte meramente elusive dei precetti penali tributari, avrebbe, nel caso in questione, laddove la operazione posta in essere dal ricorrente fosse qualificabile come elusiva, reso non ravvisabile il requisito del fumus commissi delicti e, quindi, non praticabile per la pubblica accusa lo strumento del sequestro preventivo.

Va, tuttavia, precisato, sempre in linea di principio, che può definirsi elusiva, e pertanto, sulla base della disciplina sopravvenuta, penalmente irrilevante, solamente una operazione che, pur principalmente finalizzata al conseguimento di un vantaggio tributario, sia tuttavia caratterizzata da una effettiva e reale funzione economico sociale meritevole di tutela per l’ordinamento, tale non potendosi ritenere un’operazione che sia, viceversa, meramente simulata.

In tale seconda fattispecie, la quale ricorrerebbe laddove la operazione costituisse un mero simulacro privo di qualsivoglia effettivo contenuto, ci si troverebbe di fronte non tanto ad una ipotesi di abuso di un pur sussistente e valido negozio giuridico quanto ad una vera e propria macchinazione priva di sostanza economica il cui unico scopo, anche attraverso il sapiente utilizzo di strumenti negoziali fra loro collegati, sarebbe quello di raggiungere un indebito vantaggio fiscale.

E’, pertanto, evidente che in una tale situazione, esulando la fattispecie dalla ipotesi

penalmente irrilevante dell’abuso del diritto – postulando quest’ultimo concetto, come

dianzi rilevato, comunque l’utilizzo di strumenti, ancorché soggettivamente finalizzati ad effetti diversi da quelli tipici dei negozi realizzati, giuridicamente validi ed aventi una loro meritevole causa giuridica ulteriore rispetto alla mera elusione fiscale – non potrebbe considerarsi scriminata in forza di quanto disposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, citato comma 13, nel testo attualmente vigente la condotta di chi, al fine di conseguire un vantaggio fiscale, realizzasse esclusivamente negozi simulati o comunque affetti da altre nullità dal punto di vista civilistico.

Come, tuttavia, già considerato, la inammissibilità del ricorso del Pubblico ministero ora in scrutinio rende in questa sede ultronea la indagine (che sarebbe stata, viceversa, assai rilevante, come dianzi evidenziato, in altra fase del giudizio) volta a verificare la sussistenza di una funzione economico sociale meritevole di tutela nella realizzazione del meccanismo negoziale messo in piedi dal C.S. in occasione della avvenuta cessione delle attrezzature e degli impianti per la diffusione del segnale televisivo in (OMISSIS) dapprima da Rete Sicilia Srl a Etis Srl (ambedue società controllate dal detto C.S.) e, a distanza di un breve lasso di tempo, da quest’ultima al TIMB ad un prezzo sensibilmente superiore a quello relativa alla precedente cessione, ovvero se tale complessa operazione commerciale era viziata dalla vera e propria simulazione della prima cessione, essendo questa volta esclusivamente, attraverso la interposizione fittizia di Etis Srl, a consentire il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale alla Società Rete Sicilia realmente cedente i propri beni a TIMB.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Pm.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2016

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