Corte di Cassazione

20 Aprile 2019

Cass. Pen., III sez., ordinanza 17 ottobre 2017, n. 47827

Corte di Cassazione, III sezione penale, ordinanza del 17 ottobre 2017, n. 47827

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 1.2.2016, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del 19.3.2014 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lucca – che aveva dichiarato Dinelli Katiuscia responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cpv cp e 10 ter d.lgs 74/2000 (capi 3 e 4) e artt. 110 cp e 11 d.lgs 74/2000 (capo 5) e l’aveva condannata alla pena di mesi sei di reclusione assolveva l’imputata dal reato di cui al capo 3) perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato e dal reato di cui al capo 4) per non aver commesso il fatto e rideterminava la pena per il residuo reato di cui al capo 5) in mesi quattro di reclusione.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Dinelli Katiuscia, per il tramite del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condotta integrante il reato di cui all’art. 11 divo 74/2000.

Argomenta che la costituzione di un fondo patrimoniale non è idonea a rendere inefficace, né totalmente né parzialmente, la procedura di riscossione coattiva del debito fiscale; richiama sul punto la giurisprudenza di legittimità che ha ammesso la facoltà dell’ente di riscossione di iscrivere ipoteca sul fondo patrimoniale senza dover provare l’estraneità del debito fiscale ai bisogni della famiglia.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle somme da sottoporre a sequestro per equivalente e poi a confisca.

Argomenta che erroneamente la Corte territoriale utilizzava per la determinazione del quantum da sottoporre a sequestro gli importi ritenuti evasi in riferimento alle contestazioni di cui all’art. 10 ter divo 74/2000 e, non, invece, il valore dei beni sottratti all’esecuzione.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso merita accoglimento.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte (sez. 3, 4 aprile 2012, n. 40561, Rv 253400; Sez.3,n.9154de/19/11/2015, dep.04/03/2016, Rv.266457), a fronte di un fondo patrimoniale costituito ex art. 167 cod. civ., per fare fronte ai bisogni della famiglia, è necessario accertare, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 che nell’operazione posta in essere sussistano gli elementi costitutivi della sottrazione fraudolenta: il processo di merito deve, dunque, individuare quali siano gli aspetti dell’operazione economica che dimostrino la strumentalizzazione della causa tipica negoziale allo scopo di evitare il pagamento del debito tributario. E non è ipotizzabile una sostanziale inversione dell’onere della prova,

sul solo presupposto che la creazione del patrimonio separato rappresenti di per sé l’elemento materiale della sottrazione del patrimonio del debitore.

E’ stato, infatti, sottolineato che la scelta dei coniugi di costituire un fondo patrimoniale rappresenta uno dei modi legittimi di attuazione dell’indirizzo economico familiare, secondo quanto enucleato anche dalla giurisprudenza civile, che ha ricompreso tra i bisogni della famiglia tutte quelle esigenze volte al suo pieno mantenimento ed al suo armonico sviluppo nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, dovendosi invece escludere le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi. Viceversa, quando sia stata dimostrata l’idoneità della costituzione dello specifico fondo patrimoniale ad ostacolare il soddisfacimento dell’obbligazione tributaria (Sez. 3, n. 23986 del 5/5/2011, dep. 15/6/2011, Pascone, Rv 250646), tale strumento giuridico finisce per costituire uno dei vari mezzi (per quanto formalmente ed apparentemente legittimo) di sottrazione del patrimonio alla garanzia di adempimento del debito contratto con il Fisco.

Inoltre, è stato rimarcato che, sia sotto il profilo della idoneità degli atti a pregiudicare l’esecuzione coattiva, sia sotto il profilo della prova della sussistenza del dolo specifico di frode, s’impone la necessità di dimostrare che la costituzione del fondo patrimoniale abbia in concreto messo in pericolo la garanzia patrimoniale; con la conseguenza che il giudice deve motivare sulla ragione per cui la costituzione del fondo rappresenterebbe, in ogni caso, uno strumento idoneo a rendere inefficace il recupero del credito erariale. (Sez.3,n.9154de119/11/2015, dep.04/03/2016, Rv.26645, cit).

Nella specie, la Corte territoriale si è discostata dai predetti principi ed ha offerto una motivazione inadeguata evidenziando il solo profilo temporale della stretta concomitanza tra la costituzione del fondo patrimoniale e le reiterate condotte di omesso versamento delle imposte dovute e nulla argomentando, invece, in maniera specifica, in merito alla idoneità della condotta a rendere in tutto o in parte inefficace il soddisfacimento dell’obbligazione tributaria.

Un siffatto obbligo motivazionale s’imponeva anche alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte in tema di riscossione coattiva delle imposte, secondo la quale l’iscrizione ipotecaria è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni, ma grava sul debitore che intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale l’onere di provare l’estraneità del debito alle esigenze familiari e la consapevolezza del creditore, circostanze che non possono ritenersi dimostrate, né escluse, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa (Sez. 6-5, n. 23876 del 23/11/2015, Rv. 637586 – 01; Sez.5, n.22761 del 09/11/2016, Rv.641645 – 01-; Sez. 3, n. 1652 del 29/01/2016, Rv. 638353 – 01, che ha precisato che l’art 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973, sicché l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero – nell’ipotesi contraria – purché il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata.).

Tale omissione motivazionale vizia, pertanto, l’atto decisorio, che va annullato sul punto con rinvio per nuovo giudizio.

3. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

Erroneamente, in difformità dei principi affermati da questa Corte suprema in subiecta materia, i Giudici di appello hanno determinato il quantum da sottoporre a confisca individuando il profitto del reato nell’ammontare complessivo delle imposte oggetto di sottrazione fraudolenta al pagamento.

Costituisce, infatti, principio consolidato che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma e non nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, (Sez.3,n.33184 del 12/06/2013, n.40534 del Rv.256850;Sez.3, n.10214 06/05/2015, Rv.265036; de122/01/2015, Sez.3, n.39187 Rv.262754;Sez.3, del 02/07/2015, Rv.264789). Va osservato che, per costante enunciazione di questa Corte, il reato di sottrazione fraudolenta ha natura di reato di pericolo nel senso della semplice idoneità della condotta a pregiudicare la attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria sicché esso è integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare – secondo un giudizio ex ante – l’attività recuperatoria della amministrazione e non presuppone come necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione coattiva in atto ma soltanto la preesistenza del debito al cui inadempimento è finalizzata (cfr., Sez.3, n.39079 del 09/04/2013, Rv.256376; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771; Sez.3, n.35853 del 11/05/2016, Rv.267648; Sez.3, n.3011 del 05/07/2016, dep.20/01/2017,Rv.268797).

Il profitto del reato, pertanto, attesa la struttura del reato, va identificato nel depauperamento patrimoniale finalizzato a precludere all’Amministrazione finanziaria dello Stato la realizzazione del proprio credito a causa della riduzione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 cod.civ. rappresentata dal patrimonio del creditore.

Anche sul punto, pertanto, l’atto decisorio va annullato con rinvio per nuovo giudizio.

PQM

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

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