Corte di Cassazione

17 Aprile 2019

Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 24 luglio 2018, n. 19537

Corte di Cassazione, VI sezione civile, ordinanza 24 luglio 2018, n. 19537

ORDINANZA

Svolgimento del processo

1 La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza 29.12.2016, ha respinto il gravame proposto da G.M. contro la sentenza di primo grado (n. 553/09 del Tribunale di Ascoli Piceno) che a sua volta aveva respinto le domande da lui proposte contro il coniuge separato V.I. in contraddittorio con la società venditrice Virgili Costruzioni srl (dichiararsi nullo ed inefficace l’atto di compravendita relativo all’acquisto della comproprietà di un immobile da parte dell’ex coniuge per non avere corrisposto il prezzo; dichiararsi nullo il dissimulato atto di donazione dal marito alla moglie per mancanza di forma; dichiararsi l’esclusiva proprietà del bene in capo all’attore).

2 Contro tale sentenza il G. ricorre per cassazione a cui resiste con controricorso la V.. La società venditrice non ha svolto difese.

3 Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.

Il ricorrente ha depositato una memoria.

Motivi della decisione

Con unico complesso motivo il ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 “nullità della sentenza e del procedimento. Error in procedendo e violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per illogicità e contraddittorietà della motivazione”.

Deduce ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 “errata o falsa applicazione dell’art. 179 c.c., lett. b e art. 115 c.p.c. o in subordine dell’art. 1417 c.c.”. Sostiene il ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare che il bene non rientrava nella comunione tra i coniugi perchè oggetto di donazione indiretta della madre in favore del figlio, come peraltro riscontrato a pag. 3 della sentenza e ha trascritto il contenuto della seconda memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 con cui si deduceva, anche attraverso il deposito di assegni, la fornitura, da parte della madre, del danaro necessario all’acquisto e si chiedeva di provare per testi la circostanza.

Il motivo, nella parte in cui denunzia l’illogicità e contraddittorietà della motivazione, è inammissibile.

Come chiarito dalle sezioni unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830; v. anche Sez. 3 -, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017 Rv. 645828;).

Nel caso si specie si è certamente al di fuori di tale ipotesi estrema perchè la motivazione non solo esiste materialmente, ma non è nè apparente nè caratterizzata da affermazioni inconciliabili, essendosi la Corte di merito limitata a rilevare, sul tema della donazione indiretta del bene dalla madre al figlio, che in primo grado non era stata proposta nessuna domanda in tal senso, aggiungendo, poi, che la donazione da madre a figlio in procinto del matrimonio si riferiva a somme di danaro (v. pag. 3 sentenza impugnata). Quindi è fuori luogo il richiamo all’art. 132 c.p.c., n. 4.

Per il resto la censura è infondata.

La violazione di una norma di diritto comporta un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010 Rv. 612745; più di recente, v. anche Sez. 2 -, Ordinanza n. 20964 del 08/09/2017 Rv. 645246 in motivazione).

Ebbene, nel caso in esame la critica mossa dal ricorrente non investe affatto la ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge denunziate e quindi non pone nessun problema interpretativo, nel senso sopra indicato, delle norme sull’oggetto della comunione tra coniugi, sulla donazione o sulla simulazione, ma riguarda, molto più semplicemente, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: si tende insomma a sostenere che l’appartamento, in quanto frutto di donazione indiretta da madre a figlio, non rientrasse nella comunione legale, ma la Corte d’Appello, lungi dal riconoscere “l’intervenuta donazione indiretta dell’immobile dalla madre al figlio” (così in ricorso a pag. 7), ha al contrario rilevato (v. pag. 3) che una tale domanda non era stata proposta al giudice di primo grado (circostanza che il ricorso non è in grado di smentire, non essendo certamente sufficienti le richieste istruttorie formulate nella seconda memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c.).

In ogni caso – come già detto – la Corte del merito ha accertato che la donazione tra madre e figlio aveva riguardato solo una somma di danaro da utilizzare per l’acquisto della casa familiare e che il figlio, impiegando tale somma nell’acquisto da condividere con la futura moglie, ha in tal modo donato a questa il 50% della proprietà consentendone l’intestazione alla medesima (v. pag. 3).

L’apprezzamento della Corte di merito, in linea con i principi che regolano la forma delle donazioni indirette (non necessità dell’atto solenne, ma sufficienza del rispetto della forma prescritta per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità), non è pertanto censurabile.

In conclusione, il ricorso va respinto con addebito di spese alla parte soccombente.

Considerato infine che il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2018.

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