Corte di Cassazione

29 Aprile 2019

Cass. Civ., Sez. V, Sentenza 18 novembre 2015 n. 23570

Corte di Cassazione, V Sezione civile, sentenza 18 novembre 2015, n. 23570

Svolgimento del processo

Con scrittura privata autenticata del 27 agosto 1992 (…) sul presupposto della sussistenza tra loro di una società di fatto costituita con scrittura privata registrata il 25 gennaio 1978, procedevano alla regolarizzazione della società di fatto in società in nome collettivo sotto la denominazione sociale “(…) e C. SNC”. Nell’atto si dichiarava l’appartenenza al patrimonio sociale di un immobile sito in Luzzana. L’ufficio del registro, ritenendo che ciò costituisse aumento di capitale con conferimento di bene immobile appartenente pro-quota ai soci uti singuli, rideterminava le imposte dovute facendo applicazione dell’aliquota proporzionale dell’8% sulla plusvalenza, le nuove imposte ipocatastali, le soprattasse e gli interessi per l’importo complessivo di lire 14.330.000. Proposto ricorso da parte degli odierni ricorrenti dinanzi alla commissione tributaria di primo grado di Bergamo, esso veniva accolto. La commissione tributaria di secondo grado, decidendo sull’appello dell’ufficio, accoglieva l’impugnazione sul rilievo della inapplicabilità della legge 947/1982 in quanto norma non retroattiva. Proposto ricorso da parte dei contribuenti, la commissione tributaria centrale confermava la decisione della commissione tributaria di secondo grado motivando la decisione nel senso che i beni immobili potevano risultare legalmente di proprietà della società di fatto solo qualora fossero stati strumentali poiché, diversamente, essi dovevano essere considerati di proprietà dei soci. Avverso la decisione della commissione tributaria centrale hanno proposto ricorso i contribuenti svolgendo un unico motivo. L’amministrazione finanziaria si è costituita ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’articolo 370, comma 1, cod. proc. civ..

Motivi della decisione

I ricorrenti, con l’unico motivo di ricorso, deducono violazione di legge in relazione agli artt. 2297, 2266 e 2267 cod. civ. nonché in relazione all’art. 4 lett. a) n. 1 e lett. d) dell’allegato A, parte prima, d.p.r. 634/72 sostenendo che il bene immobile sito in (…) risultava essere stato acquistato, con atto per ministero del notaio V. del 23 giugno 1980 n. 12466 rep. e 2340 racc., di cui hanno trascritto il contenuto essenziale nel ricorso, dalla società di fatto (…) e C. a mezzo dei soci (…) e (…)

Risultava, dunque, che il bene era intestato non già ai soci uti singuli ma alla società di fatto dagli stessi costituita con scrittura privata registrata il 25 gennaio 1978, per il che, a seguito della regolarizzazione della società di fatto in società in nome collettivo, non si era verificato l’aumento di capitale della s.n.c. con conferimento di bene immobile ma la mera ricognizione del patrimonio della società che, per effetto della regolarizzazione stessa, era stato sottoposto al vincolo previsto dalle norme di cui agli artt. 2303 e 2306 cod. civ..

Ora, è stato più volte affermato dalla corte di legittimità il principio secondo il quale l’atto di regolarizzazione di una società di fatto in società in nome collettivo, il quale includa, nel patrimonio sociale, anche beni immobili in precedenza acquistati, anche in virtù del principio dell’accessione, dai soci uti singuli, senza spendita del nome della società, è soggetto, con riguardo a tali beni, a tassazione proporzionale di registro, atteso che, per effetto della non riferibilità di detto pregresso acquisto alla società, l’atto in questione realizza il conferimento, in proprietà, dei suddetti beni immobili alla società, con conseguente efficacia incrementati va – e non meramente ricognitiva – del patrimonio sociale (Cass. n. 11817 del 19/05/2006, Cass. n. 5076 del 12/03/2004, Cass. n. 2705 del 26/03/1997, Cass. n. 11962 del 04/11/1992).

Da tale principio, che questa corte condivide, deriva che, laddove il bene risulta essere stato acquistato dalla società di fatto, come nel caso che occupa ove nell’atto di acquisto è stata fatta menzione della società di fatto quale parte acquirente, per effetto della regolarizzazione della società medesima in società in nome collettivo non si realizza un conferimento, come si avrebbe nel caso in cui il bene fosse intestato ai soci uti singuli, ma la mera ricognizione del patrimonio della società di fatto che viene ad essere sottoposto ai vincoli previsti per la società in nome collettivo.

Il richiamo operato dalle commissioni di primo e di secondo grado alla legge 947/1982, seppure i due giudici ne hanno tratto diverse conclusioni, costituisce un fuor d’opera. Invero l’art. 1 della legge stessa stabilisce “Le società di fatto o irregolari esistenti alla data del 30 giugno 1982 possono essere regolarizzate entro il 31 dicembre 1984 in una delle forme previste dai capi III e IV del titolo V del libro quinto del codice civile con atto sottoposto a registrazione con l’applicazione dell’imposta di registro nella misura dell’1 per cento e senza applicazione di sanzioni. L’imposta è ridotta allo 0,50 per cento per la regolarizzazione delle società aventi sede ed operanti nei territori di cui al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, e successive modificazioni. Le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa. La base imponibile è costituita dal patrimonio netto della società quale risulta dalla situazione patrimoniale alla data della regolarizzazione, da allegarsi all’atto, redatta sulla base delle scritture contabili obbligatorie anche se ai soli fini fiscali o, in mancanza, di documenti aventi data certa. Nella situazione patrimoniale è consentito comprendere anche i beni immobili e mobili iscritti nei pubblici registri, o loro quote, comunque utilizzati come beni strumentali nell’esercizio dell’impresa societaria ancorché intestati ai soci o ad alcuno di essi. “Ora, a tacer del fatto che la norma non è applicabile al caso di specie ratione temporis, essa ha introdotto una particolare agevolazione per effetto della quale anche i beni intestati ai soci uti singuli, purché si tratti di beni strumentali per la società, vengono considerati, ai fini fiscali, patrimonio della società di fatto sì da scontare la tassazione proporzionale di registro con l’aliquota dell’1 per cento e le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa. Neppure la commissione centrale ha colto nel segno poiché la circostanza che la società di fatto risultasse essere la proprietaria del bene per effetto dell’atto di compravendita del 23 giugno 1980 costituiva il solo presupposto necessario per affermare la natura ricognitiva dell’atto di regolarizzazione della società che contemplava il bene stesso e superflua era, a tal punto, l’indagine circa la strumentalità di esso.

Il ricorso va, dunque, accolto, la sentenza impugnata va annullata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con l’accoglimento dell’originario ricorso dei contribuenti. Le spese processuali dei giudizi di merito si compensano tra le parti per la particolarità della questione trattata e quelle di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso di (…) cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario dei contribuenti. Compensa le spese processuali relative ai giudizi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere ai ricorrenti le spese processuali di questo giudizio, spese che liquida in complessivi euro 1.500,00, oltre agli accessori di legge.

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