Corte di Cassazione

26 Aprile 2019

Cass. Civ., sez. V, sentenza 18 maggio 2016 n. 10222

Corte di Cassazione, V Sezione civile, sentenza 18 maggio 2016, n. 10222

Svolgimento dei giudizio

C.A.P. (quale compratore), L.N. ed A.R. (quali venditori) propongono tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 33/1/10 del 22 aprile 2010 con la quale la commissione tributaria regionale di Firenze, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo (sebbene per il minor importo di euro 171.500,00) l’avviso di rettifica e liquidazione loro notificato dall’agenzia delle entrate per imposta di registro, ipotecaria e catastale sulla compravendita 10 settembre 2005 di un terreno edificabile in Pescia (PT); avviso con il quale il valore dell’immobile, dichiarato in euro 111.000,00, è stato dall’ufficio rettificato nel maggior importo di euro 245.000,00, secondo la stima dell’agenzia del territorio.

Resiste l’agenzia delle entrate con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1^ co. nn. 3, 4 e 5 cod.proc.civ., con riferimento agli artt. 112 cod.proc.civ., 24 Cost.e 52 d.P.R. 131/86

– omessa pronuncia sull’eccezione di nullità dell’avviso di rettifica e liquidazione in oggetto, in quanto privo di motivazione; nonché vizio di motivazione della sentenza in ordine alla ritenuta, ma indimostrata, congruità del maggior valore del terreno. Ciò perché l’avviso faceva apoditticamente menzione di “precedenti stime” disposte dall’ufficio, senza tuttavia indicarle né allegarle (nemmeno in corso di causa).

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’articolo 2697 cod.civ., nonché illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla stima del terreno; per avere la commissione tributaria infine elevato ad euro 171.500,00 il valore di quest’ultimo, pur dopo aver dato atto della insussistenza agli atti di causa di elementi probatori Idonei ad accertarlo. Insussistenza, quest’ultima, implicante l’infondatezza della pretesa tributaria; essendo l’onere probatorio in questione a carico dell’agenzia delle entrate, e non della parte contribuente.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo del giudizio, insito nella stima del terreno. Ciò perché la commissione tributario regionale, dopo aver erroneamente equiparato una stima dell’agenzia del territorio ad una perizia d’ufficio, non aveva considerato tutti gli elementi istruttori che essi ricorrenti (senza che con ciò si determinasse inversione dell’onere della prova) avevano versato in causa, anche con richiamo ad analoghe compravendite, a riprova della congruità del valore dichiarato in atto (perizia giurata arch. S. 2 settembre 2005; perizia giurata geom. R. 29 agosto 2005; stima dell’ottobre 2005 effettuata dal comune di Pescia a fini Ici; relazione tecnica geom. R. 10 ottobre 2007).

2. Tali motivi, suscettibili di trattazione unitaria per la loro intima connessione logica e giuridica, sono fondati.

Va premesso che l’avviso di rettifica in oggetto si basava sulla allegata relazione tecnica geom. G. dell’agenzia del territorio 25 giugno 2007, facente riferimento (a sostegno del maggior valore del terreno edificarle in euro 245.000,00) a “precedenti stime effettuate da quest’ufficio per terreni posti in zone limitrofe a quella considerata, ed aventi analoghe caratteristiche e condizioni”.

La commissione tributarla provinciale di Firenze (sent. 28/19/09) ha ritenuto eccessivo il valore così stabilito, riducendolo (in ragione di accordi tra le parti limitativi della porzione edificanda) ad euro 171.500,00.

La decisione della commissione di primo grado era stata dai contribuenti censurata in sede di gravame (appelli riuniti) sotto il profilo della incongruità anche di quest’ultima minor valutazione e, segnatamente, della insussistenza – non solo nell’avviso di rettifica e nella relazione dell’agenzia del territorio, i quali non descrivevano in alcun modo né allegavano le richiamate “precedenti stime”, ma nemmeno agli atti di causa – di prove attestanti la non rispondenza del valore dichiarato nell’atto di compravendita. Valore che, al contrario, trovava convalida in una serie convergente di elementi istruttori prodotti dal contribuenti, pur senza sollevazione dell’ufficio dall’onere probatorio suo proprio.

Orbene, in questa situazione la sentenza qui impugnata – pur avendo implicitamente escluso che l’avviso di rettifica potesse ritenersi invalido per carenza di ‘motivazione’, dovendosi risolvere la lite sul diverso piano della ‘prova’ della pretesa tributarla (v. Cass. 25559/14 ed altre) – ha ritenuto di confermare la prima decisione sulla base di una serie di considerazioni non condivisibili, e cosi riassumigli:

– alla perizia di parte contribuente si opponeva una “perizia d’ufficio”, tale qualificata la stima dell’agenzia del territorio allegata all’atto di rettifica; – nessuna delle due parti aveva richiesto una CTU, “per cui è evidente che occorra esaminare dagli atti di causa la congruità o meno della sentenza Impugnata”: – non vi erano i presupposti per riformare la sentenza di primo grado, stante la “mancanza di un numero sufficiente di consimili contratti su terreni limitrofi e di valide documentazioni provenienti da enti e società indipendenti che possano dimostrare il valore dei terreni oggetto di vendita”; – agli atti, infatti, non vi era “un’approfondita perizia e ricerca di mercato per individuare la forbice di valutazione in modo da dare a questa commissione gli elementi per verificare e decidere il valore più consono rispetto alle caratteristiche intrinseche del lotto oggetto di valutazione”; – nemmeno, agli atti venivano forniti elementi sulla incidenza del costo del terreno rispetto al valore di vendita di futura costruzione non di lusso, né In essi si spiegava a sufficienza “in quale stadio urbanistico è la procedura laboriosa per rendere il terreno perfettamente costruibile (…)”, ed in quali tempi.

Queste considerazioni integrano, al contempo, i lamentati vizi di violazione normativa e carenza motivazionale.

Va infatti considerato che dinanzi al giudice tributario l’amministrazione finanziaria si pone sullo stesso piano del contribuente, sicché la relazione di stima di un immobile – redatta dall’Ufficio tecnico erariale o da altro organismo interno all’amministrazione stessa, e da quest’ultima prodotta in giudizio – costituisce una relazione tecnica di parte e non una perizia d’ufficio; ad essa, pertanto, deve essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la sua provenienza, non anche per quel che riguarda il suo contenuto estimativo.

E’ vero che questa circostanza di certo non comporta che tale relazione di stima sia del tutto priva di efficacia probatoria – anche considerando l’ampia ammissibilità nel processo tributario delle prove ccdd. atipiche – ben potendo essa costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento, anche esclusivo, della sua decisione; e tuttavia, occorre che il giudice spieghi le ragioni per le quali ritenga tale relazione (di parte) corretta e convincente; sia in sé, sia in rapporto a tutte le altre risultanze istruttorie comunque acquisite al giudizio (Cass. nn. 14418/14; 8890/07 ed altre).

Nel caso di specie, è mancata qualsivoglia motivazione atta a sostenere – alla luce di un ben più articolato quadro istruttorio – la ‘prevalenza’ della relazione tecnica dell’amministrazione finanziaria su quelle, di pari efficacia, prodotte in giudizio dai contribuenti; sicché appare fondato il convincimento che la commissione tributaria regionale si sia risolta a disattendere il valore indicato nell’atto di trasferimento proprio e soltanto in ragione del fatto che la stima in questione proveniva, appunto, dall’amministrazione finanziaria, cosi da assumere (come erroneamente indicato) valenza equipollente ad una ‘perizia di ufficio’.

Errata è poi l’osservazione per cui la sentenza di primo grado doveva trovare conferma anche perché avverso alla valutazione estimativa in essa contenuta non era stata proposta dalle parti istanza di ctu. Pacifico essendo che, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti ed in presenza di elementi istruttori necessitanti di approfondimento tecnico, la disposizione di una consulenza tecnica d’ufficio rientri tra 1 poteri-doveri ufficiosi del giudice; al quale è demandato, ex art. 7 d.lgs. 546/92, di acquisire anche aliunde i propri elementi di valutazione prescindendo, se del caso, dagli accertamenti dell’ufficio impositore, e sostituendo la propria valutazione a quella da quest’ultimo operata.

Si è in proposito affermato (Cass. 13132/10 ed altre) che: “il giudizio dinanzi alla Commissione tributaria regionale, al di là delle ipotesi tassative ed eccezionali previste dal primo comma dell’art. 59 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nelle quali è prevista la possibilità di una sentenza meramente rescissoria, in presenza di vizi formali dell’accertamento o di altri atti pregressi su cui esso si fonda), assume le caratteristiche generali del mezzo di gravame, ossia del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo ed obbliga, quindi, il giudice tributario a decidere nel merito le questioni proposte; con la conseguenza che, nell’ambito di una controversia sull’imposta di registro, egli può determinare il valore venale degli immobili sulla base di criteri diversi da quelli utilizzati in sede di accertamento, a condizione che resti nel limite della pretesa tributaria esercitata dall’Ufficio, e che gli elementi utilizzati siano legittimamente acquisiti agli atti; come nel caso di utilizzo di dati desumibili da una CTU, stante la possibilità per il giudice tributario di farvi ricorso anche al fine di valutare l’attendibilità della stima dell’Ufficio ed accertare il valore venale degli immobili per cui è causa”.

Sicché, in definitiva, la mancata formulazione di istanza di ctu certo non poteva ripercuotersi, quale vera e propria regola di giudizio atta a fondare il convincimento decisorio, in danno della parte; men che meno di quella parte che non risultava nemmeno gravata dall’onere probatorio.

Quest’ultima osservazione merita qualche ulteriore approfondimento, posto che l’unico convincimento traibile dalla motivazione qui censurata è nel senso della sostanziale mancanza di elementi di giudizio in ordine alla congruità del maggior valore accertato (seppure considerato a seguito della riduzione operata dalla sentenza di primo grado).

E tuttavia, tale carenza – ove non supplita mediante adozione dei poteri istruttori ufficiosi – doveva portare a disattendere la rettifica di valore rispetto ai prezzo dichiarato dai contraenti nell’atto di compravendita; risolvendosi essa nel mancato assolvimento di un onere probatorio di fondatezza della pretesa fiscale posto – in base alla regola generale di cui all’articolo 2697 cod.civ. – a carico dell’amministrazione finanziaria.

In definitiva – a fronte di un avviso di rettifica e liquidazione che faceva generico riferimento a “precedenti stime”, nonché di un quadro istruttorio di causa privo di qualsivoglia elemento dimostrativo su punti ritenuti decisivi dalla stessa commissione tributarla regionale (atti negoziali similari; valutazioni di soggetti indipendenti; Informazioni sulle condizioni di edificabilità ecc..) – la conclusione doveva essere nel senso della mancata dimostrazione, da parte dell’amministrazione finanziarla, della asserita incongruità del valore indicato dalle parti nell’atto di compravendita.

Va del resto considerato che i contribuenti avevano in effetti prodotto in giudizio, senza inversione dell’onere della prova, una serie di elementi di riscontro di quest’ultimo valore (relazioni tecniche di parte; accertamento comunale a fini lci; atti iniziali similari); ebbene, la commissione tributaria regionale non ha mostrato di prenderli in considerazione nella loro potenziale Idoneità a supportare i motivi di appello formulati avverso la valutazione estimativa resa in primo grado.

La motivazione appare pertanto insufficiente anche nella parte in cui rileva la mancanza di elementi istruttori di giudizio, senza considerare tutti quegli elementi che risultavano invece essere stati prodotti da una delle parti in causa; e la cui considerazione avrebbe, invece, potuto condurre ad una decisione del tutto diversa rispetto a quella adottata dalla commissione di primo grado.

In definitiva, le censure di legittimità qui in esame non mirano a suscitare una nuova visitazione di circostanze fattuali e puramente valutative (il che sarebbe inammissibile in questa sede); ma evidenziano correttamente, oltre alla falsa applicazione normativa, altresì la obiettiva carenza logica e giuridica della motivazione. Segnatamente, per quanto concerne il governo delle regole sull’onere della prova e la valutazione dei mezzi istruttori.

La sentenza qui impugnata va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della commissione tributarla regionale di Firenze la quale, attenendosi ai principi testé indicati, dovrà nuovamente valutare la congruità del valore del terreno indicato nell’atto di compravendita; decidendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Firenze.

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