Corte di Cassazione

30 Aprile 2019

Cass. Civ, Sez. V, Sentenza 15 ottobre 2014, n. 21770

Corte di Cassazione, V Sezione Civile, sentenza 15 Ottobre 2014, n. 21770

Svolgimento del processo

I signori G.P. e G.B., ristoratori, contraevano il 20.6.2001 con la “BCCV nei Comuni di Rimini e Verucchio” un mutuo di lire 250.000.000 (€ 129.114,229) garantito da ipoteca sull’immobile ad uso ristorante di loro proprietà sito in Rimini, compiutamente descritto in atti.

Successivamente, con atto del 20.2.2003 autenticato dal notaio S.D.M. in Rimini e registrato il 3.3.2003, i medesimi signori P  . B. costituivano tra loro una società in nome collettivo denominata “I.P. S.n.c. di P.G. & C.” con sede in Rimini, con capitale sociale di € 967.456,77, sottoscritto dal P. per € 719.694,92 mediante conferimento dell’intera proprietà dell’azienda ristorante denominato” D.G. “, sulla cui situazione patrimoniale gravava la passività rinveniente dalla quota sottoscritta del mutuo ipotecario, e della quota di 3/4 del fabbricato, e per la residua quota per € 247.761,85 da parte della sig.ra B. mediante il conferimento della quota di 1/4 del fabbricato e della piena proprietà di terreno agricolo del valore di € 15.493,71, precisandosi in atto che il conferimento della B. avveniva al netto della quota di 3/4 della passività bancaria sull’immobile adibito a ristorante.

Quindi, con successiva scrittura privata autenticata del 27.3.2003, registrata il 4.4.2013, i succitati signori G.P. e G.B. cedevano le proprie quote di partecipazione nella società come innanzi costituita alla società M. S.n.c.” e alla sig.ra L.A. modificando contestualmente la società cessionaria la ragione sociale in “I.P. S.n.c. di A.L. & C. la quale si accollava il residuo debito derivante dal mutuo ipotecario. La società acquirente cedeva infine a terzi (E.M. S.r.l.) tutti gli immobili di proprietà.

In ragione di tali fatti l’Ufficio di Rimini dell’Agenzia delle Entrate, con tre distinti avvisi di liquidazione, aventi come destinatari la I.P. S.n.c. di A.L. & C., G.P. e G.B. in relazione all’atto registrato il 3.3.2003 richiedeva le maggiori imposte, in via complementare, di registro, ipotecaria e catastale, riqualificando, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 il negozio giuridico della costituzione di società, tenendo conto della cessione di quote, come compravendita di azienda.

Con tre separati ricorsi i contribuenti succitati impugnavano gli avvisi di liquidazione e l’adita CTP di Rimini, previa riunione dei medesimi, li accoglieva, ritenendo essenzialmente che la diversa qualificazione dell’atto registrato operata dall’Ufficio (da costituzione di società con conferimento di azienda e d’immobili a compravendita immobiliare) non fosse legittima alla luce dei principi contenuti dall’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 e nell’art. 1362 c.c.

L’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la suddetta pronuncia di primo grado era accolto dalla CTR dell’Emilia – Romagna, con sentenza n. 28/03/08 del 31 marzo 2008, che dichiarava nel contempo “estranea alla controversia la società I.P. di A.L. & C.” rispetto alla quale non risultava, secondo i giudici di secondo grado, “collegabile alcun comportamento o partecipazione al disegno elusivo”.

Avverso detta sentenza i signori G.P. e G.B. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Va dato atto, in primo luogo, che il ricorso per cassazione non è stato notificato all’I.P. S.n.c. di A.L. & C., litisconsorte sul piano processuale, della quale è comunque da ritenersi che la sentenza di secondo grado con la formula adoperata e dinanzi riportata abbia inteso disporne l’estromissione dal giudizio.

2. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli art. 1362 c.c. e 20 del D.P.R. n. 131/1986, in relazione all’art. 360 1° comma n. 3 c.p.c., sostenendo essenzialmente che l’interpretazione dell’atto da registrare, ai sensi del succitato art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, pur dovendo tener conto degli effetti giuridici dell’atto, non può tuttavia avvalersi di tutti quegli elementi che non trovano riscontro nell’atto stesso, poiché, essendo quella di registro imposta d’atto o cartolare, ai fini della sua applicazione non possono mai assumere rilevanza fatti che le parti pongono in essere al di fuori dell’atto presentato per la registrazione.

2.1. Il motivo, che si articola per buona parte della sua esposizione attraverso la testuale trascrizione, per più pagine, delle argomentazioni spese dalla pronuncia di primo grado che aveva accolto i ricorsi dei contribuenti, anche a prescindere dai rilievi concernenti la sua stessa ammissibilità, quali sollevati dalla difesa dell’Amministrazione finanziaria, è infondato.

Esso, infatti, non tiene conto della più recente giurisprudenza in materia di questa Corte, che ha avuto modo in più occasioni di chiarire il significato e la portata del disposto dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, secondo il quale l’imposta di registro “è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente Si è in particolare affermato (cfr., più di recente, Cass. civ. sez. trib. 5 giugno 2013, n. 14150; tra le altre si vedano Cass. civ. sez. trib. 25 febbraio 2002, n. 2713; Cass. civ. sez. trib. 23 novembre 2001, n. 14900) che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla forma apparente, vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioè il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche in maniera frazionata, in uno o più atti.

Tale giurisprudenza, d’altronde, si è sviluppata parallelamente all’evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa (corrispettivo del servizio di registrazione avente ad oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale) a quello dell’imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva commisurabile ad una specifica forza economica.

Da ciò deriva che l’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 non è solo norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione volta ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario, che “è dato dall’oggetto e che viene fatto coincidere con gli effetti giuridici indicativi della capacità contributiva dei soggetti che li compiono” (così, testualmente, la già citata Cass. n. 2713/2002).

Ciò posto, la statuizione contenuta nella sentenza impugnata – che ha riconosciuto gli effetti giuridici derivanti dal collegamento negoziale tra l’atto di costituzione di società e la successiva vendita a terzi delle quote della società di persone, costituita appena un mese prima dai signori P e B mediante conferimento dell’azienda e degli immobili sopra descritti come quelli propri di una compravendita immobiliare, anche tenendo conto quindi del comportamento delle parti successivo all’atto di costituzione della società stessa – è conforme, nell’applicazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, ai principi espressi dalla succitata giurisprudenza di questa Corte.

Ne deriva, pertanto, l’infondatezza del motivo in esame.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono il vizio d’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 1° comma, n. 5 c.p.c., assumendo che la sentenza impugnata si è limitata ad indicare la cronistoria di alcuni degli atti sottoposti a registrazione, per pervenire laconicamente all’affermazione che la costituzione della società è stata fatta “all’esclusivo scopo di una vendita differenziala dei cespiti per una maggiore valorizzazione e per realizzare un risparmio di imposta con l’applicazione di un’aliquota di favore, senza l’effettiva intenzione di gestire una nuova società”.

Così argomentando, la sentenza impugnata, secondo i ricorrenti, avrebbe in primo luogo trascurato l’adeguata valutazione di taluni degli atti susseguitisi, tra i quali, in primo luogo, la cessione del ramo d’azienda ristorante con scrittura registrata il 24.2.2003 alla società M. S.r.l. e, soprattutto, non avrebbe individuato gli aspetti e le peculiarità che l’hanno indotta a ritenere l’abusività e l’elusività dei negozi giuridici stipulati tra le parti.

In proposito va sottolineato, nel quadro interpretativo sopra delineato dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, che nella parte sopra indicata la motivazione della sentenza impugnata appare piuttosto semplicemente ultronea, nella parte in cui lascia intendere che al fenomeno sopra menzionato del collegamento negoziale, volto alla produzione di determinati effetti giuridici differenti da quelli cui corrispondono il titolo e la forma apparente degli atti in sé considerati, debba essere necessariamente sotteso un intento elusivo, o, ancor più, un vero e proprio abuso nel ricorso a taluni degli strumenti offerti dall’autonomia negoziale piuttosto che ad altri.

Invero è stato già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., più di recente, Cass. civ. sez. trib. 28 agosto 2013, n. 19752), che la regola interpretativa di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 prescinde da intenti elusivi, eventualmente ma non necessariamente posti a base della scelta negoziale complessa.

Dando continuità al suddetto indirizzo interpretativo, consegue che nel caso in esame non sussiste il denunciato vizio d’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, proprio perché la regola interpretativa di cui all’art. 20 prescinde dalla necessaria sussistenza di un intento elusivo delle parti e pertanto l’accertamento della pretesa abusività del comportamento delle parti medesime, realizzatosi attraverso il succitato ricorso a più negozi tra loro collegati, non riguarda fatto decisivo per il giudizio.

Né ricorre il denunciato vizio d’insufficiente motivazione riguardo alla circostanza relativa alla mancata considerazione, da parte della sentenza impugnata, dell’ulteriore negozio di vendita degli immobili, già di proprietà degli odierni ricorrenti, da ultimo alla società E.M. S.r.l., neppure essendo state prospettate in ricorso le ragioni della decisività di siffatta vendita a terzi per escludere, attraverso la valutazione unitaria degli atti dinanzi menzionati, la qualificazione degli effetti loro conducibili per l’evidenziato collegamento negoziale come propri di una compravendita immobiliare.

3. Infine, con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 1° comma n. 4 c.p.c., lamentando che la decisione resa dalla CTR dell’Emilia – Romagna non si sarebbe pronunciata sulla “carenza, illogicità do infondatezza di motivazione dell’avviso di liquidazione”, già addotta in primo grado come motivo di ricorso e ribadita in grado d’appello, deducendo nuovamente la mancanza di alcuna considerazione, questa volta da parte dell’Ufficio, nell’avviso di liquidazione impugnato, degli ulteriori atti sopra menzionati (cessione del ramo d’azienda alla M. S.r.l. e, da ultimo, vendita degli immobili dalla I.P. S.n.c. di A.L. & C. alla E.M. S.r.l).

Anche tale motivo è infondato e va disatteso. Nel condividere la qualificazione, operata dall’Ufficio, ai sensi del citato art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, degli effetti giuridici propri del negozio costitutivo di società tra i signori P. e B. in termini di compravendita immobiliare attraverso il collegamento negoziale di detto atto con la cronologicamente vicina successiva vendita delle quote della società appena costituita a terzi, la decisione impugnata, entrando nel merito della fondatezza della pretesa tributaria fatta valere dall’Amministrazione finanziaria, ha dunque, quanto meno implicitamente, disatteso il motivo prospettato dai contribuenti di carenza di motivazione dell’atto impugnato.

Non sussiste, pertanto, il denunciato vizio di omessa pronuncia.

Al rigetto del ricorso consegue, secondo soccombenza, la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese di lite, come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

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