Corte di Cassazione

20 Aprile 2019

Cass. Civ., Sez. V, Ordinanza 15 settembre 2017, n. 21438

Corte di Cassazione, V sezione civile, ordinanza del 15 settembre 2017, n. 21438

Fatto e diritto

Rilevato che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso la sentenza della C.T.R. della Campania, depositata il 15 giugno 2010, che, in accoglimento dell’appello proposto dagli eredi di C.S., aveva annullato l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva determinato sinteticamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, il maggior reddito netto complessivo del C., in relazione all’anno di imposta 2000;

che il giudice di appello aveva ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento impugnato poichè alla base della determinazione sintetica del reddito era stato posto il valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro, come rettificato dall’Ufficio, e non il corrispettivo della vendita, rilevando che ai fini della determinazione della plusvalenza occorreva avere riguardo alla differenza tra il prezzo di cessione e quello di acquisto, e non al valore di mercato del bene, come invece avviene per l’imposta di registro;

che L.T., in qualità di erede e di delegata degli altri coeredi, resiste con controricorso;

considerato che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate sostiene che l’atto di appello proposto dagli eredi del C. avverso la sentenza della C.T.P. di Caserta è inammissibile per genericità dei motivi, risolvendosi in una complessiva censura dell’accertamento impugnato e non nella formulazione di specifiche critiche nei confronti della sentenza di primo grado;

che la censura è infondata, posto che, per giurisprudenza consolidata, nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve all’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza (Cass. n. 14908 del 2014); la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 1200 del 2016);

che, con il secondo motivo di ricorso, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, si sostiene la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, basato sul valore di mercato dell’immobile così come accertato ai fini dell’imposta di registro, esistendo una presunzione di corrispondenza di tale valore con il prezzo pagato come corrispettivo del trasferimento e restando a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria;

che il motivo è infondato;

che questa Corte ha reiteratamente affermato che l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere invia induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, con conseguente onere della prova incombente sul contribuente – al fine di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato a quello coincidente con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro – di dimostrare di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore (cfr., tra le tante, Cass. n. 16254 del 2015);

che, tuttavia, tale principio è ormai superato alla stregua dello ius superveniens di cui al D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3, a tenore del quale: “Gli artt. 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5 bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 che il D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5 cit., comma 3, essendo norma di interpretazione autentica, avente quindi efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (da ultimo, Cass. n.12265 del 2017);

che, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese dell’intero processo vanno compensate tra le parti, essendo stata la causa decisa in base allo ius superveniens.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

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