Corte di Cassazione

23 Aprile 2019

Cass. Civ., Sez. Trib., sentenza 15 marzo 2017 n. 6673

Corte di Cassazione, Sezione tributaria, sentenza 15 marzo 2017, n. 6673

Svolgimento del processo

B.A., dottore commercialista, propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana che – nel giudizio introdotto con l’impugnazione dell’avviso di accertamento, ai fini dell’IRAP per gli anni 2001, 2002 e 2003, con il quale gli veniva contestata la mancata dichiarazione ed il mancato pagamento dell’imposta -, accogliendone parzialmente l’appello, e rigettando quello incidentale dell’Agenzia delle entrate, ha ritenuto non dovuta l’imposta per gli anni 2001 e 2002, nel corso dei quali il contribuente aveva svolto il tirocinio, fruendo di compensi, presso uno studio associato, mentre ha ritenuto il contribuente tenuto al pagamento dell’imposta per il 2003, anno a partire dal gennaio del quale, superato l’esame di Stato ed iscritto all’albo, aveva continuato a svolgere l’attività professionale per il medesimo Studio associato.

Secondo il giudice d’appello, infatti, quanto ai primi due anni, quelli del tirocinio, l’aver fruito di compensi non costituiva elemento dirimente, dovendosi invece aver riguardo alla natura dell’attività svolta; il tirocinio in sé considerato, infatti, comportando lo svolgimento di un’attività sotto la direzione e comunque la supervisione di un dominus, era circostanza sufficiente ad escludere l’autonomia dell’organizzazione del lavoro professionale.

Con riguardo al 2003, pur risultando dalla documentazione fiscale prodotta che il contribuente non ha personale dipendente, non possiede beni strumentali significativi e che la sua attività si svolge in modo assolutamente prevalente nell’interesse del medesimo studio associato presso il quale aveva compiuto il tirocinio, studio associato di cui peraltro non è socio, nondimeno, la possibilità di avvalersi di una struttura organizzata, ancorché non propria, ha consentito al contribuente di lavorare in condizioni diverse di quelle in cui si sarebbe trovato ove non fosse stato in grado di sfruttare una struttura esistente, aggiungendo così quel quid pluris in grado di recare un apprezzabile apporto a quanto da lui personalmente praticato, il che integra il presupposto impositivo, mai richiedendosi nella giurisprudenza, secondo il giudice d’appello, che “la struttura” sia propria.

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione al solo fine della partecipazione alla discussione.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, rubricato “l’autonoma organizzazione quale presupposto dell’applicazione dell’IRAP: contraddittoria ed insufficiente motivazione e/o violazione o falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997”, il contribuente censura la decisione per avere, ai fini dell’assoggettamento di un libero professionista all’IRAP, assunto quale presupposto oggettivo l’organizzazione di terzi, i componenti di uno studio associato di consulenza legale e tributaria, i quali risultano esserne gli esclusivi titolari e gestori, e nel cui interesse è concesso l’utilizzo.

Con il secondo motivo critica la sentenza d’appello con riguardo alla dedotta carenza di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato; con il terzo motivo il contribuente si duole dell’omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione delle cause di non punibilità previste dagli artt. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, e 10, comma 3, della legge n. 212 del 2000.

Il primo motivo è fondato.

Il giudice della nomofilachia ha chiarito come “in tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto dell’”autonoma organizzazione” richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive” (Cass., sezioni unite, 10 maggio 2016, n. 9451).

Nella specie il giudice d’appello ha affermato che occorreva verificare che il contribuente non fosse “inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interessi”. Ha rilevato che dalla documentazione fiscale prodotta dal contribuente, coincidente con quella prodotta dall’Agenzia delle entrate, risultava non avesse personale dipendente e “non possedesse beni strumentali significativi; che aveva sostenuto spese per immobili pari a euro 584, e che era “pacifico che la sua attività si svolgeva in modo assolutamente prevalente nell’interesse dello Studio Associato, di cui peraltro l’Arcidiacono non era socio”.

La Commissione regionale incorre perciò nell’errore di diritto ad essa addebitata nel ritenere che nel caso in esame “la possibilità di avvalersi di una struttura organizzata ancorché non propria” consentiva di ravvisare il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, “non è soggetto ad IRAP il professionista (nella specie, avvocato) che svolga l’attività all’interno di una struttura altrui, in tal caso difettando l’autonomia organizzativa, che è presupposto dell’imposta” (Cass. n. 21150 del 2014).

Il requisito della “attività autonomamente organizzata”, di cui all’art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ricorre “quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e, dunque, non risulti inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse” (Cass. n. 25311 del 2014), non essendo “sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma essendo anche necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi; non sono, pertanto, soggetti ad Irap i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura da altri organizzata” (Cass. n. 9692 del 2012).

Il primo motivo deve essere pertanto accolto, assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente anche con riguardo al periodo d’imposta 2003.

In considerazione della pluralità di interventi, anche dissonanti, del giudice di legittimità in materia di IRAP, vanno compensate fra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente anche con riguardo al periodo d’imposta 2003.

Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

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