Corte di Cassazione

29 Aprile 2019

Cass. Civ. Sez. III Sentenza 22 ottobre 2015 n. 42444

Corte di Cassazione, III Sezione penale, sentenza 22 ottobre 2015, n. 42444

Ritenuto in fatto

1.1 Con ordinanza del 6 giugno 2014 il Tribunale di Roma – Sezione del riesame – confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di quella città in data 25 marzo 2014 nei confronti di T.C.C. e Z.X.C. (indagati, il primo per i reati di cui all’art. 4 del D. Lgs. 74/00 – dichiarazione infedele relativamente agli anni di imposta 2008 e 2009 – ed entrambi, per il reato di cui all’art. 11 comma 1 del D. Lgs. 201/11) con il quale era stato disposto nei confronti di costoro il sequestro per equivalente di beni immobili sino all’ammontare di € 2.598.675,24 corrispondenti all’entità delle imposte evase.

1.2 In particolare il Tribunale, dopo aver confermato la sussistenza del fumus criminis in relazione a tutte le fattispecie di cui alle imputazioni provvisorie (con la precisazione, quanto al reato sub c) che trattavasi di errata indicazione delle norme di legge violate da intendersi riferite all’art. 11 del D. Lgs. 74/00) sulla base delle risultanze degli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza, disattendeva le deduzioni difensive prospettate dagli indagati ribadendo l’esistenza dell’avviso di accertamento (che a dire degli indagati non era mai stato emesso dall’Amministrazione Finanziaria); ancora l’illegittimità dell’operazione finanziaria posta in essere dagli indagati consistita nel portare in deduzione le sopravvenienze passive ai fini IRES; la illegittimità di altra operazione finanziaria consistita nel portare in deduzione, sempre ai fini IRES, la somma di € 922.125,52 quale minusvalenza straordinaria in violazione degli artt. 83 T.U.I.R. in relazione all’art. 88 comma 3 stesso T.U.I.R. o in alternativa in violazione dell’art. 109 T.U.I.R.; l’irrilevanza della pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Roma del 20 gennaio 2011, stante l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario; l’avvenuto compimento di atti fraudolenti dopo la ricezione dell’avviso di accertamento evidenziando che la fattispecie contestata al capo C) andava sussunta sotto l’art. 11 del D. Lgs. 74/00 e non l’art. 11 del D. lgs. 201/11, come erroneamente figurante nella imputazione provvisoria e come recepito dal G.I.P.; la genericità delle deduzioni offerte in punto di valutazione dei beni immobili oggetto delle operazioni finanziarie contestate.

2. Avverso il suddetto provvedimento ricorrono entrambi gli indagati tramite il loro difensore di fiducia deducendo due motivi: con il primo, principalmente riferito alla contestazione di cui al capo C), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per avere il Tribunale ritenuto applicabile una normativa (quella di cui all’art. 11 del D. Lgs. 201/2011) sopravvenuta alcuni anni dopo la condotta contestata e riferibile, in ogni caso, all’anno di imposta 2004. Ritiene poi la difesa che, diversamente da come ritenuto dal Tribunale, la contestazione attiene al D.Lgs. contestato (art. 11 del D. Lgs. 201/11) e non all’art. 11 del D. Lgs. 74/00 che afferisce alla condotta di chi non versa all’erario, sottraendo beni, tanto più che nella specie non sussistono i presupposti per l’applicabilità della normativa indicata dal Tribunale. Prosegue la difesa asserendo l’incomprensibilità dell’ultima parte della imputazione, mentre con riferimento alle residue imputazioni sub A) e B), la difesa ribadisce la mancata emissione e notificazione dell’avviso di accertamento per l’anno 2009 contrariamente a quanto affermato dal Tribunale e contesta, comunque il valore economico, del tutto esorbitante, attribuito dall’Agenzia delle Entrate ai beni immobili, nonostante la documentazione in atti fornisse la prova del contrario. Contesta, poi, la difesa l’affermazione del Tribunale relativa alla metodologia seguita per la contabilizzazione. Con il secondo motivo la difesa lamenta l’assoluta carenza di motivazione ed erronea applicazione della legge penale in riferimento all’asserito fumus criminis, ribadendo che entrambe le contestazioni fanno leva su una errata valutazione economica dei beni immobili della società.

Considerato in diritto

1. I ricorsi non sono fondati e vanno, conseguentemente, rigettati.

2. Procedendo nell’esame dei motivi, seguendo l’ordine delle imputazioni provvisorie, vanno anzitutto esaminate le censure sollevate in riferimento ai capi A) e B): il solo T.C.C. viene chiamato a rispondere, nella sua qualità di legale rappresentante dal 18.3.1999 al 29.7.2013 della società Y.R. esercente attività di commercio all’ingrosso di articoli in pelle, del reato di infedele dichiarazione per avere indicato nelle dichiarazioni dei redditi 2009 e 2010 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo oltre i limiti di legge con corrispondente evasione dell’IRES per l’anno 2008 di € 1.153.379,92 e per l’anno 2010 di € 339.234,42.

2.1 Va subito precisato – a riprova della esattezza delle affermazioni del Tribunale – che da parte dell’Agenzia delle Entrate è stato emesso e notificato nell’anno 2010 avviso di accertamento per l’anno 2009, sicché l’affermazione della difesa secondo la quale nessun avviso di accertamento sarebbe stato emesso per l’anno 2010 è eccentrica rispetto alle argomentazioni svolte dal Tribunale che si riferiscono – per quanto riguarda l’avviso di accertamento – soltanto all’anno 2009.

2.2 Tanto premesso, le censure difensive in realtà attengono più che ad una inosservanza della legge penale, al difetto assoluto di motivazione nella misura in cui l’Agenzia delle Entrate avrebbe attribuito ai beni immobili iella società un valore esorbitante rispetto a quello dichiarato ai fini ICI, senza tenere conto della documentazione depositata in atti che dimostra un valore nettamente inferiore.

2.3 Dal testo dell’ordinanza impugnata si ricava, invece, con chiarezza l’esattezza del percorso argomentativo seguito dal Tribunale, pienamente aderente al dettato normativo ed ancora, nient’affatto carente come vorrebbe sostenere la difesa.

2.4 II Tribunale, per giungere alla conclusione cui è pervenuto, si è basato sui risultati degli accertamenti condotti dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate che, nel sottolineare i diversi metodi di rilevazione del leasing finanziario (metodo patrimoniale e metodo finanziario), hanno chiarito l’illegittimità del metodo finanziario adoperato dalla società, richiamando le disposizioni emanate con il D.Lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003 che – per le operazioni di leasing finanziario – come quelle compiute dalla società dell’indagato – prevedono che l’unico metodo per la contabilizzazione fosse quello patrimoniale e non quello finanziario seguito dalla società per l’anno fiscale di riferimento, per di più con modalità difformi rispetto alle direttive fornite dall’Agenzia delle Entrate.

2.5 La minusvalenza portata in deduzione dalla società, sempre per l’anno di imposta 2009, è risultata essere il frutto di questa irregolare operazione condotta, quindi, con un metodo non consentito e con modalità in ogni caso scorrette.

2.6 Le obiezioni sollevate dalla difesa del ricorrente, sotto tale profilo, appaiono sostanzialmente generiche e non valgono pertanto a scalfire la decisione impugnata la quale ha fatto riferimento a precise violazioni di legge in cui è incorso l’indagato rispetto alle quali nessuna deduzione specifica – salvo il riferimento ad una impropria valutazione economica dei beni – viene sollevata.

3. Le considerazioni di cui sopra valgono anche per la dichiarazione infedele, di minore rilevanza da punto di vista economico in riferimento all’ammontare dell’IRES evasa, riguardante l’anno di imposta 2009, indipendentemente dalla circostanza che fosse stato emesso (e provato in atti) l’avviso di accertamento per quella annualità; va ricordato, in proposito, che in ogni caso l’imputazione provvisoria nasce da un processo verbale di constatazione redatto dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate e non certo dall’avviso di accertamento che può spiegare una certa rilevanza solo ai fini del procedimento tributario e non di quello penale basato su altri presupposti.

4. Con riguardo, invece, al capo C), del quale allo stato sono chiamati a rispondere entrambi gli indagati, va anzitutto precisato che dal testo del capo di imputazione (sul quale si è fondato il provvedimento cautelare adottato dal G.I.P.) si ricava agevolmente quale sia la natura del reato provvisoriamente contestato agli odierni ricorrenti: entrambi, infatti, vengono accusati di essersi, in concorso tra loro, sottratti al pagamento di imposte IRPEF, IRPEG ed IVA, alienando successivamente alla ricezione dell’avviso di accertamento per l’anno 2004 (loro notificato il 3 luglio 2008) o comunque compiendo atti fraudolenti sui beni della società idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

4.1 Tale contestazione, integrata dalla specificazione degli atti simulati compiuti e delle modalità seguite dalla Y.R. e dalla società F.R. utilizzatrice e locataria dei fabbricati, ricalca fedelmente lo schema della fattispecie astratta enunciata nell’art. 11 del D. Lgs. 74/00, il quale prevede che “E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su alcuni beni ‘ idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

4.2 Secondo la tesi difensiva, il titolo del reato enunciato nel capo C) fa riferimento all’art. 11 del D. Lgs. 201/2011 (e non 2001 come indicato nel testo), intitolato “Emersione di base imponibile” il quale prevede al comma 1° che “Chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero e’ punito ai sensi dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.

4.3 Come è agevole rilevare dalla comparazione tra i due testi dianzi citati, la condotta in concreto contestata ai due indagati si riferisce esattamente al comma 1 dell’art. 11 del D. Lgs. 74/11 e la motivazione resa dal Tribunale è pienamente coerente con la contestazione indicante la condotta illecita, la quale, oltretutto, viene richiamata in ogni sua parte dal Tribunale sulla scorta delle risultanze emerse dagli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate.

4.4 La tesi difensiva propugnata che fa leva su una diversità della decisione rispetto alla contestazione, non ha la minima ragion d’essere; così come appaiono del tutto fuori luogo le osservazioni formulate dalla difesa circa l’applicazione di una normativa intervenuta successivamente (2011) rispetto all’epoca dei fatti (2004).

4.5 Ancora una volta la decisione impugnata si fonda – per quel che riguarda i profili inerenti al reato di cui al capo C) nella sua corretta interpretazione – sulle inequivoche risultanze degli accertamenti condotti dall’Agenzia delle Entrate e sulla valutazione economica degli immobili ricompresi nell’operazione finanziaria posta in essere dai due indagati assolutamente corretta e rispondente ai canoni della economicità delle operazioni medesime che invece i due indagati hanno palesemente violato come evidenziato dal Tribunale.

5. In conclusione i due ricorsi vanno rigettati con le conseguenziali statuizioni in tema di spese.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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