Corte di Cassazione

29 Aprile 2019

Cass. Civ, Sez. II, sentenza 31 luglio 2015 n. 16251

Corte di Cassazione, V Sezione civile, sentenza 31 luglio 2015, n. 16251

Ritenuto in fatto

M.S. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, Sezione staccata di Caltanissetta, n. 19/21/2007, depositata in data 14/05/2007, con la quale è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento, a carico del M., titolare di ditta individuale esercente attività di vendita al dettaglio di articoli di abbigliamento, emesso per maggiore IRPEF relativa all’anno 1996, sulla base della rideterminazione in via induttiva del reddito d’impresa, ex art. 39 comma 2° DPR 600/1973, ed a seguito di perquisizione domiciliare presso l’abitazione del contribuente, nel corso della quale era stato rinvenuto un “brogliaccio” ove, secondo l’Ufficio, venivano annotate operazioni non registrate nella contabilità ufficiale.

In particolare, i giudici d’appello hanno anzitutto sostenuto, quanto alla legittimità dell’accertamento induttivo, che il “brogliaccio”, rinvenuto dai verificatori, “può definirsi…un ”libro cassa””, contenendo tutti gli elementi idonei a “determinare la reale situazione economica della ditta, per l’anno in esame” (quali “gli incassi, le date dei versamenti effettuati e le somme da anticipare ai dipendenti”), cosicché risulta possibile fare emergere, da esso, “in maniera certa ed inequivocabile, l’in fedeltà dei libri ufficiali” e “valide e legittime presunzioni” a favore dell’Amministrazione finanziaria, non smentite da prova contraria da parte del contribuente, anche in riferimento alla percentuale di ricarico media applicata dall’Ufficio.

La C.T.R. ha ritenuto tuttavia necessario riconoscere, a favore del M. la deduzione dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati. L’intimata Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

Considerato in diritto

1. Preliminarmente, vanno riuniti, ex art. 33b c.p.c., il ricorso principale di M.S. ed il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate.

2. Il ricorrente principale lamenta: 1) con il primo motivo, l’omessa motivazione (“omessa pronuncia” si indica nella sintesi ex art. 366 bis c.p.c.), ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., su due fatti decisivi, rappresentati, rispettivamente, dall’eccezione, sollevata dal M. in appello, di giudicato esterno, favorevole al contribuente, formatosi in altro giudizio tra le stesse parti riguardante l’IVA dovuta per l’anno 1995, traendo origine le due liti fiscali dai medesimi fatti (le annotazioni contenute nel quaderno manoscritto, rinvenuto durante la perquisizione domiciliare, ritenute dall’Ufficio integranti una contabilità parallela), e dalla prova, offerta dal contribuente, in ordine alla vendita a stock, attuata nel corso del 1996, di numerosi capi di abbigliamento, divenuti “fuori moda”, a prezzo sensibilmente inferiore rispetto a quello di acquisto, cessione dalla quale era derivata una perdita contabile rilevante per l’azienda; 2) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 39 comma 2 lett. d) DPR 600/1973, avendo i giudici della C.T.R. ritenuto legittimo l’accertamento induttivo, operato dall’Ufficio attraverso il ricalcolo del reddito sulla base di una percentuale di ricarico del “75%”, per effetto soltanto del rinvenimento del c.d. brogliaccio, dal quale non erano emerse omissioni o false o inesatte indicazioni ed irregolarità formali delle scritture contabili “gravi, numerose e ripetute”, essendo risultati corrispettivi non registrati per sole “£ 8.369.555”, dato questo rappresentante un “lieve scostamento” rispetto alla contabilità formale, inidoneo a giustificare il disconoscimento dell’intera contabilità ufficiale; 3) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt.115 e 116 c.p.c., non avendo i giudici d’appello valutato e considerato le prove offerte dal contribuente al fine dì dimostrare la piena corrispondenza tra le somme riportate nei suddetto quaderno ed i ricavi registrati dalla ditta nella contabilità ufficiale, salvo che per una “lieve discrepanza” “inferiore all’1%”; 4) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., con riferimento alla percentuale di ricarico media del settore, per avere i giudici della C.T.R. ritenuto sussistente a carico del contribuente l’onere di dimostrare che la percentuale di ricarico applicabile fosse diversa da quella media del settore, malgrado la prova documentale offerta dal medesimo, in ordine alla perdita contabile derivata nel 1996 dalla sopra indicata vendita a stock di merce.

3. L’Agenzia delle Entrate, nel ricorso incidentale, lamenta, in unico motivo, la violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 22 DPR 600/1973, 2215 e 2697 c.c., in quanto i giudici della C.T.R. non potevano ritenere deducibili i costi corrispondenti ai ricavi non dichiarati, sul solo presupposto dell’intervenuta abrogazione dell’art. 75 comma 6 del TUIR per effetto dell’art. 5 DPR 695/1996, occorrendo sempre che il contribuente fornisse prova di detti costi, sia pure anche con mezzi diversi dalle scritture contabili.

4. La prima censura del ricorso principale è anzitutto inammissibile, in quanto la ricorrente lamenta, in realtà, non l’omessa motivazione su fatto controverso e decisivo, quanto l’omessa pronuncia su eccezione, sollevata dall’appellata nel corso del giudizio di II grado, di giudicato esterno, senza la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’art. 112 cod. Proc. civ. (Cass. 11142/2011; Cass. 11844/2006).

La stessa censura è anche infondata, in quanto, relativamente al fatto asseritamente non valutato dalla C.T.R. (la vendita di uno stock di merce nel corso dell’anno), deve osservarsi che “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un ’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. SU 24148/2013). Inoltre, per potersi configurare il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità.

Nella specie, non si spiega come l’avvenuta vendita a stock in un periodo dell’anno in contestazione possa implicare l’inattendibilità della metodologia di calcolo (percentuale di ricarico) applicata dall’Ufficio sull’intero periodo d’imposta.

5. Il secondo motivo è invece fondato.

Vero che la C.T.R. ha fatto applicazione del principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, secondo il quale “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod, civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria” (Cass.4080/2015).

Tuttavia, una “contabilità in nero” non legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, comma 2°, lett.d), occorrendo pur sempre la ricorrenza di “omissioni, false, inesatte indicazioni” o di “irregolarità formali”, così “gravi, numerose e ripetute” da consentire all’Ufficio di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze delle scritture contabili.

Invero, questa Corte ha già chiarito (Cass. 13331/1992) che la compilazione di un brogliaccio, recante l’annotazione di operazioni imponibili non effettuate, “assume rilevanza, ai sensi dell’art. 39 comma 2°, lett. d), DPR 600/1973, quale falsa indicazione di elementi in scritture di gravità e numero tali da rendere inattendibile la contabilità esposta” (cfr. anche Cass. 1951/2015).

Il discrimine tra l’accertamento con metodo c.d. analitico-induttivo o misto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e quello con metodo c.d. induttivo puro o extracontabile (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d) in materia di imposte dirette, va rinvenuto, rispettivamente, nella “parziale” o “assoluta” inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili.

Nell’accertamento c.d. analitico-induttivo, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, le cui lacune possono essere colmate dall’Ufficio accertatore, utilizzando anche presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, ex art. 2729 c.c., per dimostrare l’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, ovvero l’inesistenza di componenti negativi dichiarati.

Nell’ipotesi di un accertamento induttivo puro, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” inficiano più radicalmente l’attendibilità degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c. (Cass. n. 17952/2013).

In sostanza, il secondo comma dell’art. 39 DPR 600/1973 scatta sol quando, dal raffronto tra la contabilità regolare e quella rinvenuta dai verificatori “in nero”, emerga uno scostamento, qualitativo e quantitativo rilevante, tale da rendere la contabilità dell’impresa, nel suo complesso, del tutto inattendibile.

Nella specie, l’analisi, in concreto, dell’entità di detto scostamento non vi è stata, da parte dei giudici d’appello, pur avendo il contribuente lamentato, anche in questa sede, che la differenza, tra i corrispettivi indicati nel “brogliaccio” (costituente contabilità “in nero”) e quelli regolarmente annotati nella contabilità formale, di “sole € 8.369.555”, rappresentante una “lieve discrepanza, inferiore all’1%”, inidonea a giustificare la rideterminazione del reddito secondo il metodo induttivo c.d. puro.

6. I restanti motivi del ricorso principale sono assorbiti.

Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere accolto, limitatamente al secondo motivo.

7. Il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate merita del pari accoglimento.

In tema di imposte sui redditi, l’abrogazione, da parte dell’art. 5 del d.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, del sesto comma dell’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – il quale escludeva la deducibilità delle spese ed altri componenti negativi in caso di omessa od irregolare registrazione – ha comportato un ampliamento del regime di prova dei costi da parte del contribuente (che può essere fornita anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dal quarto comma dell’art. 75 cit.), con la conseguenza che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, anche i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti possono essere dedotti, purché il contribuente ne dimostri l’effettiva sussistenza, l’ammontare e l’inerenza.

Nella specie, la C.T.R. si è limitata a rilevare l’avvenuta abrogazione dell’art. 75 DPR 91771986, ad opera dell’art. 5 DPR 695/1996, senza dare atto dell’adempimento del contribuente all’onere della prova richiesto. Resta naturalmente impregiudicata la valutazione nel merito della deducibilità dei costi, affidata al giudice del rinvio.

8. In conclusione, il ricorso principale, limitatamente al secondo motivo, respinto il primo ed assorbiti gli altri due, ed il ricorso incidentale vanno accolti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.

P.Q.M.

Riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale, accoglie il secondo motivo del ricorso principale, respinto il primo motivo ed assorbiti i restanti due motivi; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.

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