Corte di Cassazione

26 Aprile 2019

Cass. Civ., sez. II, sentenza 3 marzo 2016 n. 4206

Corte di Cassazione, II Sezione civile, sentenza 3 marzo 2016, n. 4206

Ritenuto in fatto

1. – Con decisione in data 24 dicembre 2008, la Commissione regionale di disciplina del Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto (d’ora in poi anche CO.RE.DI.) infliggeva al notaio L.V. la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di nove mesi, avendolo ritenuto responsabile della infrazione di cui all’art. 147, lettera a), della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), per avere tenuto una condotta che compromette la sua dignità e reputazione ed il decoro ed il prestigio della classe notarile violando gli obblighi di legge relativi al tempestivo versamento delle imposte di registro, ipotecarie e catastali per gli atti da lui ricevuti. 2. – La Corte d’appello di Venezia, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 17 dicembre 2009, ha rigettato il reclamo del notaio.
La Corte distrettuale ha rilevato che è stato positivamente accertato dalla Commissione regionale, in termini inequivoci e non esplicitamente confutati in punto di fatto, che si verificarono numerosissimi (e non certo sporadici) episodi (almeno 170) di omissioni nei versamenti delle imposte dovute, pur a fronte – quantomeno nella maggioranza dei casi – del ricevimento delle correlative somme dalle parti.
Ha osservato la Corte di Venezia che la gravità dei reiterati fatti accertati (“che del resto risultano lambire profili che sconfinano dall’ambito strettamente disciplinare, potendo assumere rilevanza di carattere penale”) è tale che non può far sorgere alcun dubbio sulla conseguente macroscopica com-promissione sia della dignità e reputazione personale del notaio, sia, ed in particolare, del decoro e del prestigio del notariato, tanto più che gli effetti derivanti dalla predetta condotta omissiva non si sono esauriti (ad esempio con un immediato versamento degli importi dovuti) ma hanno avuto ulteriori inevitabili complicazioni, avendo provocato le doverose attività di controllo e sanzione da parte dell’Agenzia delle entrate, con il coinvolgimento delle parti private, richieste del versamento di somme che, in moltissimi casi, avevano già consegnato in mani del notaio.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto prive di consistenza le contestazioni sull’indeterminatezza della fattispecie disciplinare azionata, anche in relazione ai profili di illegittimità costituzionale adombrati.
Esclusa la violazione del diritto di difesa, dedotta per l’esclusione di due difensori dell’incolpato nella seduta del 7 luglio 2008 dinanzi alla Commissione regionale di disciplina, la Corte di Venezia ha respinto le censure in merito all’entità della sanzione e alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti o comunque dei benefici di cui all’art. 144 della legge notarile.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il L. ha proposto ricorso, sulla base di sei motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale sulla base del parere del pubblico ministero, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza 18 novembre 2010, n. 23367, la VI-3 Sezione civile ha disposto la sospensione del giudizio sino alla definizione del processo penale pendente a carico del notaio L. , per gli stessi fatti (peculato continuato), innanzi al Tribunale di Treviso.
Il L. è stato condannato in sede di giudizio abbreviato con sentenza del 1 marzo 2011 dal GUP del Tribunale di Treviso, confermata, in punto di responsabilità, dalla Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 7 ottobre 2013, che ha ridotto la pena. Con sentenza 17 luglio 2015, la VI Sezione penale della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso del L. avverso la sentenza della Corte d’appello.
Divenuta definitiva la sentenza penale di condanna, il procedimento è ripreso ed il relativo ricorso per cassazione è stato trattato nell’adunanza camerale del 5 febbraio 2016.

Considerato in diritto

1. – Con il primo motivo si deduce falsa applicazione dell’art. 147 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), sotto il profilo della tipizzazione dei comportamenti disciplinarmente rilevanti. Ad avviso del ricorrente, la previsione, contestata, della lettera a) dell’art. 147 riguarderebbe “qualche caso atipico e di una gravità tale da essere almeno pari, se non superiore, alle fattispecie tipiche”, mentre il caso di specie non vi rientrerebbe, come dimostrato dal fatto che l’addebito mosso non troverebbe nessuna menzione nel codice deontologico, essendosi l’incolpato limitato ad “opporsi nelle forme di legge alle pretese del fisco”.
Con il secondo motivo si eccepisce l’incostituzionalità dell’art. 147 della legge notarile per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost. (violazione del principio di ragionevolezza e indeterminatezza della norma e violazione del principio del giusto processo). La previsione della lettera a), residuale, sarebbe in contrasto con il principio di certezza del diritto e di tipizzazione degli illeciti disciplinari dei notai. Sarebbe irragionevole anche la misura della sanzione applicabile prevista in caso di violazione della lettera a).
1.1. – I due motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati, ed è manifestamente infondato il sollevato dubbio di legittimità costituzionale.
Occorre premettere che nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che, in tema di illeciti disciplinari previsti a carico di chi esercita la professione notarile, l’art. 147, lettera a), della legge notarile, prevede una fattispecie disciplinare a condotta libera, all’interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l’interesse tutelato, il che si verifica ogni volta che si ponga in essere una violazione dei principi di deontologia enucleabili dal comune sentire in un determinato momento storico (Cass., Sez. VI-3, 13 ottobre 2011, n. 21203; Cass., Sez. II, 21 gennaio 2014, n. 1170).
Il citato art. 147, lettera a) – da intendersi quale norma di chiusura del sistema a fondamento del quale è posto il rapporto complesso ed articolato tra il notaio e l’ordinamento statuale – legittimamente configura come illecito disciplinare condotte che, ancorché non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio nonché il decorso e il prestigio della classe notarile, e ciò onde evitare che violazioni dei doveri anche gravi possano sfuggire alla sanzione disciplinare, essendo d’altra parte la predeterminazione e la certezza dell’incolpazione affidate ad una clausola generale il cui significato è compreso dalla collettività in cui il giudice disciplinare opera.
La norma menzionata – del tutto rispettosa del principio di legalità, anche in punto di previsione delle sanzioni applicabili (Cass., Sez. II, 28 agosto 2015, n. 17266), e quindi conforme ai parametri costituzionali evocati dal ricorrente – rimette agli organi di disciplina l’individuazione in concreto delle condotte che possano provocare discredito alla reputazione del singolo notaio e, per suo tramite, all’intera categoria professionale, essendo riservato al giudice un controllo di legittimità, rivolto a verificare la ragionevolezza della sussunzione nella clausola generale del fatto concreto (Cass., Sez. VI-3, 23 marzo 2012, n. 4720).
Nel quadro di tali principi, la valutazione operata nella specie dalla Corte d’appello, confermativa della configurabilità dell’illecito disciplinare di cui all’art. 147, lettera a), della legge notarile, risulta assolutamente corretta ed immune dalle proposte censure, avendo la sentenza impugnata apprezzato l’idoneità della condotta posta in essere – consistente nella reiterata omissione del versamento delle imposte dovute, pur a fronte del ricevimento delle correlative somme dalle parti contraenti, e quindi nella violazione di obblighi basilari che si riconnettono all’esercizio della pubblica funzione – a compromettere, ed in modo macroscopico, la dignità e la reputazione del notaio ed il decoro e il prestigio della classe notarile.
2. – Con il terzo motivo si censura omessa o insufficiente motivazione circa l’entità della sanzione ex art. 147 della legge notarile. Secondo il ricorrente, la sanzione applicata – nove mesi di sospensione – sarebbe “assolutamente sproporzionata”.
Con il sesto mezzo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 144 della legge notarile. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello, una volta verificata positivamente la condizione dell’essersi l’incolpato adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione, avrebbe dovuto convertire la sospensione in ammenda.
2.1. – L’uno e l’altro motivo sono infondati.
La Corte d’appello ha motivatamente escluso la concessione sia delle attenuanti generiche, sia delle attenuanti tipiche dell’essersi il notaio adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o dell’avere riparato interamente il danno prodotto, avendo sottolineato: la reiterazione dei fatti (circa 170 episodi, verificatisi nell’arco di un anno); il coinvolgimento delle parti private, richieste del versamento di somme che, in moltissimi casi, avevano già consegnato in mani del notaio; la tardività del ravvedimento, effettuato solo a seguito di diffida e di fronte alla minaccia di un’imminente grave sanzione, e la non completezza dello stesso, non essendo stata determinata la totale riparazione dei danni ed essendo state sistemate soltanto alcune posizioni (essendosi la doverosa attività riparatoria del notaio rilevata “ben lungi dall’aver messo termine ai molteplici disagi verificatisi a causa delle condotte censurate, e che per l’effetto risultano tuttora perduranti, specie per le parti interessate agli atti rogati dal predetto)”.
L’entità della sanzione applicata la sospensione dall’esercizio della professione di notaio per la durata di nove mesi – è stata d’altra parte adeguatamente motivata in ragione della “gravità dei fatti accertati”, suscettibili altresì di rilevanza penale, e della “macroscopica compromissione” del bene protetto dalla norma violata.
La statuizione della Corte territoriale si sottrae alle censure articolate con i motivi.
3. – Il quarto motivo censura la violazione del diritto di difesa (falsa applicazione dell’art. 156-bis della legge notarile e omessa e insufficiente motivazione) per l’esclusione del patrocinio degli Avv. Mirci e Pavan nella seduta del 7 luglio 2008 dinanzi alla Commissione regionale di disciplina sul rilievo, ritenuto dal ricorrente erroneo, che non sarebbe possibile un collegio di difesa. Secondo il ricorrente, la mancanza del collegio di difesa “rende all’evidenza potenzialmente meno robusta la stessa difesa”.
3.1. – Il motivo è infondato.
Nel procedimento che si svolge dinanzi alla Commissione amministrativa regionale di disciplina, il diritto di difesa del notaio è garantito con la previsione della facoltà, per l’incolpato, di farsi assistere da un notaio, anche in pensione, o da un avvocato nominato anche con dichiarazione consegnata alla Commissione dal difensore (art. 156-bis, comma 2, della legge notarile).
La difesa dell’incolpato è dunque destinata a dispiegarsi nella sua pienezza, essendo data all’incolpato la possibilità di avvalersi del difensore da lui ritenuto più adatto, e quindi di decidere se sia più conveniente l’assistenza di un collega ovvero quella di un avvocato del libero Foro.
Diversamente da quanto ritiene il ricorrente, la legge notarile non consente che, nel procedimento disciplinare dinanzi alla Commissione, l’incolpato possa farsi assistere da più di un avvocato.
4. – Con il quinto motivo si denuncia l’incostituzionalità dell’art. 148, comma 3, della legge notarile, là dove prevede che il presidente della Commissione regionale di disciplina sia un magistrato, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. Sostiene il ricorrente: “se il magistrato nominato svol-ge funzioni giudicanti e/o requirenti presso lo stesso distretto di Corte d’appello, essendo la decisione della Commissione impugnabile sia nella fase cautelare che in quella di merito innanzi la medesima Corte d’appello, quest’ultimo Collegio non sarebbe nelle condizioni più obiettive di imparzialità”.
4.1. – La questione di legittimità costituzionale è priva di rilevanza, perché nella specie non è dedotto – né risulta dagli atti – che il magistrato presidente della Commissione amministrativa regionale di disciplina, che ha irrogato la sanzione disciplinare, sia stato componente del Collegio della Corte d’appello di Venezia che ha deciso il reclamo proposto avverso quella sanzione.
Il dubbio è posto in astratto, per l’eventualità di una coincidenza che non è dato riscontrare.
5. – Il ricorso è rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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