Corte di Cassazione

26 Aprile 2019

Cass. Civ., sez. I, sentenza 19 maggio 2016 n. 10332

Corte di Cassazione, I Sezione civile, sentenza 19 maggio 2016, n. 10332

Svolgimento del processo

Gli eredi di C.B., S.C. e D.B., agivano nei confronti della società Marmi B. di F.B. e C. s.a.s., già s.n.c., e del socio accomandatario in proprio F.B., per ottenere la liquidazione della quota sociale del de cuius nell’importo indicato di un milione di euro, o nell’importo ritenuto di giustizia.

Il Tribunale disattendeva l’eccezione di incompetenza e/o giurisdizione, sollevata dai convenuti per la ritenuta devoluzione arbitrale della controversia; nel merito, riteneva che gli eredi avevano espresso la volontà di non proseguire nel rapporto sociale, come consentito dall’art.10 della statuto, da cui la condanna della società e del socio illimitatamente responsabile alla liquidazione della quota, nel valore secondo la situazione patrimoniale della società alla data dello scioglimento del rapporto, e quindi del decesso del B., avvenuto il 7/2/2007, come accertato dalla C.T.U.

La Corte d’appello,con sentenza depositata l’11/9/2012, ha respinto l’appello della società e del B., ritenendo infondate: l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della società e del B., stante l’intervenuta trasformazione della s.n.c. che, ai sensi dell’art. 2498 c.c., comporta non l’estinzione della prima società ma semplicemente la modifica della stessa; l’eccezione di incompetenza e/o giurisdizione in forza della clausola compromissoria ex art.11 dell’atto costitutivo, stante la limitazione della clausola alle sole questioni relative all’interpretazione dell’atto costitutivo; le eccezioni di incompetenza per materia e rito ed incompetenza territoriale; la prospettata violazione del contraddittorio da parte del C.T.U., stante l’autorizzazione del giudice ed il consenso dei C.T.P. all’intervento dell’ausiliare, e la natura di valutazione propria della C.T.U., che prescinde dalla presenza dei C.T.P.

Nel merito, la Corte ha ritenuto che la stima degli immobili era stata correttamente effettuata con riguardo alla natura ed allo stato degli stessi, alla destinazione urbanistica ed alla posizione nel contesto urbanistico, sostanzialmente confermata dalla stima in sede esecutiva, trovando il leggero calo del prezzo spiegazione nella mutata situazione del mercato immobiliare e nel peggioramento dello stato manutentivo; che era stato adeguatamente trattato il tema delle plusvalenze latenti; che la contestazione sul computo del valore dell’avviamento, oltre che non essere mai stata sollevata in primo grado,era infondata.

Ricorrono avverso detta pronuncia la Marmi B. di F.B. s.a.s. e B.F. in proprio, con ricorso affidato a quattro motivi.

Si difendono con controricorso C.S. e B.D..

I controricorrenti hanno depositato la memoria ex art. 378 c. p. c.

Motivi della decisione

1.1.- Col primo motivo, i ricorrenti si dolgono dei vizi ex art. 360 nn.2 e 3 c.p.c., sostenendo che la clausola compromissoria ex art.11 dell’atto costitutivo della società devolve ogni questione ad arbitrato irrituale.

1.2. – Col secondo, sostengono che la controversia non può ritenersi rientrare nella materia societaria, per cui, in accoglimento delle eccezioni sollevate, il Giudicante avrebbe dovuto disporre il mutamento del rito, applicare il rito ordinario, e rimettere la causa al Tribunale di Busto Arsizio, sez. distaccata di Gallarate, competente per territorio.

1.3. – Col terzo, ripropongono la questione della propria carenza di legittimazione.

1.4. – Col quarto, si dolgono dell’avere la Corte del merito disatteso i rilievi alla C.T.U., sollevati dalla parte.

2.1. – Il primo motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Va in primis rilevato che la questione prospettata dalla parte, ovvero la devoluzione della controversia ad arbitrato irrituale in forza della clausola di cui all’art.11 dell’atto costitutivo(“in caso di controversia circa l’interpretazione di quest’atto tutte le parti di comune accordo nomineranno un arbitro amichevole compositore”), è intesa a far valere l’improponibilità della domanda, e non pone invece questione di competenza, che si avrebbe ove fosse stata fatta valere la devoluzione in arbitrato rituale, come ritenuto dalle S.U. nella pronuncia 24153/2013.

Ciò posto, si deve rilevare che la parte si è limitata inammissibilmente a contrapporre all’interpretazione offerta dalla Corte d’appello la propria diversa esegesi, senza indicare i canoni interpretativi eventualmente violati dal Giudice del merito, argomentando nel senso che, aderendo alla tesi da questi espressa, si finirebbe per negare ogni valore ed efficacia alla clausola, che sarebbe pertanto sostanzialmente “nulla”.

Di contro a dette deduzioni, va ribadito come, per giurisprudenza consolidata, l’interpretazione di una clausola statutaria è sindacabile, in sede di giudizio di legittimità, solo per illogicità o difetto di motivazione o violazione dei canoni ermeneutici previsti dal codice civile per l’interpretazione dei contratti (in tal senso, tra le ultime, le pronunce 14775/2012 e 2637/2003).

Né l’interpretazione data dalla Corte d’appello, che ha specificamente avuto riguardo alla lettera della clausola, nel riferimento non ad ogni controversia, ma solo a quelle relative all’interpretazione dell’atto costitutivo, tra le quali non rientra quella in oggetto, attinente alla sola liquidazione della quota, finisce con il privare di ogni significato la clausola, che, appunto, resta applicabile per le controversie relative all’interpretazione del rapporto societario.

2.2. – Il secondo motivo va respinto.

E’ infatti infondata la questione di rito posta dalla parte (rito ordinario e non societario), da cui consegue altresì la questione, sempre in tesi di parte, di competenza per territorio (nel rapporto tra il Tribunale di Busto Arsizio e detto Tribunale, sezione distaccata di Gallarate), atteso che, come ribadito tra le ultime nella pronuncia 14775/2012, la ripartizione delle funzioni tra la sezione societaria e le altre sezioni del tribunale è estranea al concetto di competenza, attenendo alla distribuzione degli affari all’interno di uno stesso ufficio, così come non pone alcuna questione di competenza la distribuzione degli affari tra sede centrale di Tribunale e sezione distaccata.

2.3. – Il terzo motivo è infondato.

Ed infatti, come affermato nelle pronunce 13467/2011 e 26826/2006, la trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria; e, come ribadito tra le ultime nelle pronunce 5248/2012 e 12125/2006, la domanda di liquidazione della quota di una società di persone da parte degli eredi del socio defunto fa valere un’obbligazione non degli altri soci, ma della società medesima quale soggetto passivamente legittimato, potendosi altresì evocare in giudizio anche i soci superstiti, qualora siano solidalmente e illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, sebbene non siano litisconsorti necessari (così da ultimo, la pronuncia 1040/2009).

Nel resto, la parte non specifica in quale atto avesse fatto valere il riferimento alla pattuizione di cui all’art.10 dello Statuto, a meno di non ritenere la proposizione in sede di comparsa conclusionale, come indicato nella prima parte del motivo, e quindi tardivamente.

2.4. – Il quarto motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

La Corte del merito ha respinto l’eccepita violazione del contraddittorio, osservando che era stato autorizzato, nonché concordato con i C.T.P., l’intervento dell’ausiliare del C.T.U. e che ben la Marmi B. avrebbe potuto farsi assistere da un ulteriore esperto, oltre al dott. T., che aveva peraltro concordato “espressamente con l’esigenza del C.T.U. di ricorrere all’ausiliario per la stima dell’immobile né ha espresso riserve di sorta”: a fronte di detta chiara evidenziazione, non può attribuirsi alcun rilievo alle generiche deduzioni del ricorso intese a ribadire il venir meno del legittimo contraddittorio e della necessaria partecipazione al “controllo formativo della “prova” e della sua legalità”(così pagina 34 del ricorso).

Nel resto, le ulteriori censure della parte sono intese inammissibilmente ad ottenere la rivalutazione del merito, che la Corte d’appello ha congruamente e logicamente argomentato.

3.1. – Il ricorso va pertanto respinto; le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in euro 15.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

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