Corte di Cassazione

23 Aprile 2019

Cass. Civ, Sez. I, 27 settembre 2016 n. 18939

Corte di Cassazione, I Sezione civile, sentenza 27 settembre 2016, n. 18939

SENTENZA

sul ricorso 25137-2013 proposto da:

CONSORZIO DI X (C.F. X), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso l’avvocato CORRADO V. GIULIANO, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RR, BA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE ERITREA 91, presso l’avvocato CARLO POLI DORI, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 492/2013 del TRIBUNALE di TIVOLI, depositata il 27/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/04/2016 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato C. POLIDORI che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Consorzio di X ha proposto ricorso per cassazione nei riguardi della sentenza depositata il 27 marzo 2013 con la quale il Tribunale di Tivoli, rigettando l’appello da esso ricorrente proposto, ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Subisco che, in accoglimento dell’opposizioneproposta da RR e AMB, aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti per il pagamento di € 670,55 a titolo di oneri consortili quali proprietari di unità immobiliare sita all’interno del relativo comprensorio lottizzato, in Comune di Cervara di Roma. Ha ritenuto il tribunale:

a)che rettamente il primo giudice aveva giudicato che l’appartenenza al consorzio sia determinata dalla adesione allo stesso in forma negoziale: l’art.5 dello Statuto consortile prevede infatti che ogni atto di trasferimento o cessione di diritti reali debba “far menzione nell’atto di trasferimento”, ritenendosi altrimenti obbligato in solido il cedente; b)che, non essendo stata fatta menzione dell’esistenza del Consorzio nell’atto di provenienza della proprietà in capo agli opponenti, questi non sono obbligati.

Al ricorso resistono RR e AMB con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il Consorzio di X lamenta:

a) che il giudice d’appello -al pari del giudice di primo grado- abbia erroneamente attribuito a tale ente, costituito per la gestione e la manutenzione di beni comuni a più soggetti (fognature, condotta idrica, strade consortili e relativa illuminazione, aree verdi), la natura giuridica di associazione su base volontaristica, in tal modo violando le norme in materia di condominio e di comunione (artt.1118 comma 2 e 1104 cod.civ.), con i principi regolatori della materia ad esse sottesi, oltretutto sulla base del solo riferimento ad una clausola dello Statuto consortile la cui funzione è piuttosto quella di rendere obbligato, insieme con l’acquirente della proprietà dell’immobile, anche l’alienante ove ometta di menzionare nell’atto di vendita l’esistenza del consorzio stesso;

b) che, omettendo di decidere sul motivo di appello concernente la suddetta violazione dei principi regolatori della materia, il tribunale abbia anche violato 1’art.112 cod. proc. civ., con conseguente nullità della sentenza;

c) che il tribunale sia anche incorso nel vizio di motivazione, omettendo di considerare che la somma richiesta è imputabile alle spese di gestione e manutenzione della cosa comune ed alla erogazione dei servizi essenziali per i residenti, nonché di esaminare compiutamente le clausole statutarie. Si duole infine il ricorrente della condanna al pagamento delle spese di giudizio siccome ingiusta.

2. Preliminarmente, deve respingersi 1’eccezione, sollevata in controricorso, dì inammissibilità dell’appello proposto dal Consorzio avverso sentenza pronunciata secondo equità dal Giudice di pace a norma dell’art. 113 connina secondo cod. proc. civ. , in ragione del valore della causa. La violazione dei principi regolatori della materia, sulla quale era basato l’appello, rientra infatti tra i motivi per i quali è prevista, nel caso in esame, l’appellabilità della sentenza del Giudice di pace ai sensi dell’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 1 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr. Cass .n.3715/15).

3. Nel merito, la violazione denunziata con il primo motivo “dì ricorso sussiste. Come questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare (cfr.ex multis: Cass.Sez.l n.7427/12; n.10220/10), i consorzi di urbanizzazione -consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi- sono figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità, derivante dal vincolo di accessorietà necessaria sussistente tra gli impianti o servizi che il consorzio cura (nella specie, elencati nell’articolo 2 dello Statuto consortile in atti e trascritto in ricorso) ed i singoli immobili inclusi nel comprensorio edilizio, per la cui realizzazione -giova precisare- l’originaria proprietaria dell’area che ha proceduto alla relativa lottizzazione ha assunto nei confronti del Comune -in base a convenzioni trascritte- obbligazioni, relative alla realizzazione e conservazione delle opere di urbanizzazione in questione, nelle quali sono subentrati i successivi acquirenti delle singole unità immobiliari ivi realizzate, a prescindere da una loro manifestazione di volontà intesa alla assunzione di tali obblighi (v.le pronunce sopra richiamate cui adde Cass.n.28492/05).

Al contrario, dunque, di quanto prospettano i resistenti, non può predicarsi un loro disinteresse al mantenimento di quelle opere od impianti, inerendo invece alla loro titolarità del diritto di proprietà sull’immobile l’obbligo di contribuire alle relative spese, alla stregua del disposto dell’art.1104 cod.civ. Né, d’altra parte, può condividersi l’assunto, espresso dal tribunale nella sentenza impugnata, secondo cui l’art.5 dello Statuto consortile escluderebbe tale obbligo, nel caso – che la sentenza afferma ricorrere nella specie – in cui nell’atto di acquisto in capo ad essi della proprietà dell’immobile non si faccia menzione dell’esistenza del consorzio: la clausola statutaria, trascritta in ricorso, nel prevedere in tal caso che l’alienante resta obbligato in solido con l’acquirente, non smentisce certo bensì conferma il subentro di quest’ultimo nel ^debito per le quote consortili.

La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione al motivo accolto, assorbiti gli altri.

4. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito sulla base delle esposte considerazioni in diritto, con il rigetto dell’opposizione proposta dai signori B e R avverso il decreto ingiuntivo n.6/09 emesso il 9 febbraio 2009 dal Giudice di pace di Subiaco.

5. Le spese dell’intero giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’opposizione proposta da BAM e RR.

Avverso il decreto ingiuntivo n.6/09 emesso il 9 febbraio 2009 dal Giudice di pace di Subisco; condanna questi ultimi in solido al rimborso in favore del Consorzio di X delle spese dell’intero giudizio, pari, quanto al giudizio di primo grado, a complessivi € 500,00 – di cui € 230,00 per diritti e € 220,00 per onorari – oltre accessori di legge, quanto al secondo grado a € 800,00 -di cui G 220,00 per diritti e € 550,00 per onorari- oltre accessori di legge, e quanto alla cassazione a € 1.100,00 -di cui € 200,00 per esborsi- oltre ¿spese generali forfetarie e accessori di legge.

Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R.n.115/2002, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per 1′ incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione il 22 aprile 2016.

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