Corte di Cassazione

30 Aprile 2019

Cass. Civ, Sentenza 12 novembre 2014, n. 24159

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 12 novembre 2014, n. 24159

[OMISSIS]

Svolgimento del processo

 Con atto di citazione del 27 – 28 aprile 1995 da XXX S.r.l. ed “occorrendo” XXX, che già avevano adito il Tribunale di Brindisi con ricorso ex art. 700 c.p.c., premettevano che la società predetta, formata in origine dai soci al 50% A.XXX. e XXX ed avente come oggetto sociale l’esportazione ed importazione di merci ed oggetti vari, aveva rivolto sin dall’inizio la sua attenzione al mercato russo, ivi commercializzando prodotti finiti di abbigliamento e mobili, questi ultimi prodotti dalla XXX S.r.l. Soggiungevano che il XXX. si era il 28 dicembre 1994, nel corso di altra assemblea, dimesso dalla carica di Amministratore Unico, nella quale era subentrata XXX che, con atto in pari data per notar R., aveva acquistato la quota del XXX. Rilevarono che con scrittura privata in pari data era stato convenuto tra il R. ed il XXX., che quest’ultimo “né direttamente né indirettamente o tramite costituzione di società o assunzione di partecipazioni societarie, avrebbe fatto concorrenza alla XXX. S.r.l per i settori commerciali aventi per oggetto prodotti di qualunque tipo e pregio relativamente a mobili, arredamenti per albergo, abbigliamento ed accessori, articoli sanitari ed edili “per almeno un triennio”.

Alla convenzione aveva aderito la XXX. srl. Nel sottolineare che la XXX. appena un mese prima circa aveva partecipato – onde incrementare il volume delle esportazioni e delle vendite – alla (…) a Mosca, ove aveva esposto una linea di mobili XXX – presente XXXXXX, A.U. di tale Società – lamentarono che il XXX., contrariamente agli impegni assunti con la citata scrittura, aveva provveduto a costituire o rinsaldare rapporti, con il titolare di l., perfettamente a conoscenza della presenza di XXX. sul mercato russo. Evidenziarono, in particolare, che – in accordo tra loro – il XXX. ed il XXX avevano con via fax sollecitato i clienti di XXX., conosciuti in occasione della (…), alla conclusione di affari con XXX che aveva offerto sconti superiori a quelli, che XXX. “poteva applicare”; ed, altresì, che sin da allora, il XXX aveva negato a XXX. la fornitura di cataloghi e listinxxx In questo contesto dedussero che si erano inserite le prenotazioni, operata da XXX di un biglietto aereo 24 gennaio 1995, per la tratta Brindisi – Roma – Mosca a nome di XXX. nonché la predisposizione di contatti con l’interprete russo S.D. e con i clienti di XXX. onde distoglierli da questa con il fraudolento accordo intervenuto col XXX. Asserirono che i fatti segnalati erano stati comunicati da svariati titolari di ditte russe già impegnate con XXX. con grossi contratti di forniture. Osservato che in sede cautelare il ricorso ex artt. 2598 n. 3 C.C. era stato accolto nei confronti del XXX. ma non della XXX nonché di avere proposto reclamo, dedussero che l’attuale iniziativa giudiziaria scaturiva, quanto al XXX., dalla violazione della scrittura del 28 ottobre 1994 nonché del disposto di cui all’art. 2596 C.C. e, quanto alla l. nella violazione di cui all’art. 2598 n. 3 C.C. Convennero, pertanto, innanzi al Tribunale di Brindisi il XXX. e la XXX per sentire: 1) confermare il provvedimento cautelare nei confronti del XXX. e quello – se positivo – correlato al reclamo proposto contro la l.; 2) ordinare ad entrambi la cessazione degli atti di concorrenza sleale ed, inoltre, dei contatti avviati da XXX con i clienti, “conosciuti nello stand M. di XXX. “già legati da vincoli contrattuali con quest’ultima”; C) condannare entrambi in solido al risarcimento del danno in £.500.000.000. Costituitosi, il XXX. contrastò l’avversa pretesa, a suo avviso non supportata da alcun elemento contestando le circostanze di fatto dedotte dagli attorxxx Anche la l., costituitasi, contrastò l’avversa pretesa. Con sentenza 15 settembre 2004 – 31 gennaio 2005, il Tribunale accolse per quanto di ragione la domanda contro il XXX) confermando il provvedimento cautelare emesso nei suoi confronti e condannandolo al risarcimento del danno in favore dell’attrice in € 125.000,00 oltre accessori, rigettò invece la domanda contro l. e regolò in entrambi rapporti secondo soccombenza le spese. Premesso che il “petitum” della domanda contro il XXX. attingeva al disposto dell’art. 2596 C.C. e “non alla commissione di atti di concorrenza sleale ex art. 2598 C.C.”, rilevò il Tribunale che la prima delle suddette disposizioni, riferibile “a tutti gli operatori commerciali, sia persone fisiche che giuridiche”, “statuiva la possibilità di limitare contrattualmente la concorrenza”, con patto quale quello intercorso tra il XXX. e la XXX. srl da ritenersi pienamente legittimo in quanto conforme al tenore dell’art. 2596 cit. Passando al merito, opinò il primo giudice che il XXX. aveva violato quel patto, avendo “proseguito nell’attività di riferimento della clientela in territorio russo in proprio e/o per conto della l.” in tal senso a suo avviso deponevano la dichiarazione resa dalla teste S. la prenotazione del volo a Mosca e “l’inizio di invasione del mercato russo” da parte della società l. Nel sottolineare che per effetto della condotta del XXX. – come riferito dalla menzionata teste S. – vari contratti “non erano stati portati a compimento” liquidò in via equitativa il danno, subito dall’attrice nella misura sopra indicata. Esaminando, di poi, la posizione di XXX, di cui rilevò preliminarmente l’attività concorrenziale, ritenne non provate la sussistenza di un “pactum sceleris” tra i convenuti e l’utilizzazione da parte di XXX del XXX. “per sviare illegittimamente la clientela già dell’attrice”, tanto più che tale società – come emergeva dalla documentazione in atti – aveva già dal settembre 1994 iniziato un’attività di ricerca e di contratti sul mercato russo tramite S.V. Avverso la pronuncia, propose appello principale il XXX. con atto 7 marzo 2005: Resistette la XXX. srl che propose appello incidentale. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza 630/08 ha accolto l’appello principale e per l’effetto ha rigettato la domanda di XXX., rigettando altresì l’appello incidentale di quest’ultima. Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione la XXX. sulla base di quattro motivi cui resiste con controricorso il XXX. che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Lamenta la ricorrente ,con il primo motivo, l’asserita violazione dell’art. 112 c.p.c. nonché dell’art. 346 c.p.c., in riferimento all’art. 360 n. 4 c.p.c., e la “nullità della sentenza per eclatante violazione dell’obbligo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e violazione del principio del tantum devolutum”. A dire della ricorrente, in particolare, la Corte territoriale di Lecce avrebbe violato l’art. 112 c.p.c. e l’art. 346 c.p.c. avendo dichiarato la nullità del patto di non concorrenza intercorso tra le parti il 28.12.1994 per violazione della limitazione ad una determinata attività, come previsto dall’art. 2596 c.c., senza tener conto del fatto che nell’atto di appello il XXX. si fosse limitato a prospettare la nullità dello stesso patto solamente con riferimento alla inesistenza della limitazione di carattere territoriale e non anche alla mancanza di determinazione dell’attività inibita. Il motivo è infondato. Questa Corte ha già chiarito che il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità (o l’inesistenza) di un contratto, in base all’art. 1421 cod. civ., va coordinato con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., nel senso che se sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice può rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, l’eventuale nullità dell’atto stesso, e che se, invece, la contestazione attenga direttamente alla illegittimità dell’atto, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d’ufficio, né può esser dedotta per la prima volta in grado d’appello, trattandosi di domanda nuova e diversa da quella “ab origine” proposta dalla parte. (Cass. 16621/08). Ne consegue che, essendo la domanda di concorrenza sleale della XXX. basata anche sulla violazione del patto di non concorrenza intercorso tra le parti, la validità di tale atto costituisce presupposto indispensabile per l’accertamento della fondatezza della domanda onde la nullità è rilevabile d’ufficio dal giudice. Ciò vale ad escludere la violazione dell’art. 112 cpc. La censura del resto sarebbe comunque infondata anche sotto un altro profilo. La sentenza dà atto che l’appellante aveva dedotto la nullità del patto di non concorrenza per violazione dei limiti di cui all’art. 2596 c.c. L’eccezione, per come riportata in sentenza, riguardava dunque genericamente entrambi i limitxxx La ricorrente avrebbe dunque dovuto adeguatamente prospettare i termini con cui era stata formulata l’eccezione di nullità dalla controparte per dimostrare che la stessa era in realtà limitata alla sola inesistenza della limitazione territoriale. Il motivo non merita quindi accoglimento. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, da un lato, l’omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio e, dall’altro, la violazione dell’art. 2557 cod. civ. L’asserita omessa motivazione, a dire della ricorrente, andrebbe riferita al fatto “espressamente segnalato dalla parte appellata, ma totalmente ignorato dalla Code di merito” della intervenuta vendita di quota consistente dell’azienda dal XXX. alla XXX. e del collegamento conseguenziale a tale avvenimento del patto di non concorrenza, circostanza che, se considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della causa. Il motivo appare inammissibile. Invero, nella sentenza non si rinviene alcun riferimento all’art. 2557. C.c. Occorre rilevare a tale proposito che la sentenza impugnata ha rilevato che il ricorso in sede cautelare era stato proposto ex art. 2598 n. 3 c.c. mentre in sede di giudizio ordinario la XXX. ed il R. avevano fatto valere la violazione da parte del XXX. del patto di cui alla scrittura del 28 ott. 1994 nonché dell’art. 2596 c.c mentre alla XXX contestavano la violazione dell’art 2598 n. 3 c.c. Era dunque onere della ricorrente dedurre ,in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, in quale atto del giudizio aveva proposto la domanda ex art. 2557 c.c. indicando altresì che la stessa era stata in qualche modo presentata con le proprie conclusioni, ma nulla di tutto ciò si rinviene nel ricorso. A tal fine non appare sufficiente quanto riportato nel ricorso, secondo cui si era segnalato che nella fattispecie era intervenuta una cessione di quote aziendali, in quanto tale circostanza, per come riportata nel ricorso, non appare assumere il livello di una autonoma censura ex art. 2557 c.c. ma appare un argomento di contorno volto a meglio definire i caratteri del patto di non concorrenza intercorso tra le partxxx Il motivo non appare quindi scrutinabile in quanto introduce per la prima volta in questa sede di legittimità una questione-mai posta in precedenza. È appena il caso di rilevare che la domanda ex art. 2557 c.c ha una causa petendi del tutto diversa rispetto a quella di cui all’art. 2596 o 2598 c.c. onde la stessa non può ritenersi ricompresa in tali domande. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la “violazione e o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell’art. 2596 cc. (limiti contrattuali della concorrenza)”. Afferma la ricorrente che la Corte territoriale “nell’affrontare l’argomento più volte richiamato delle condizioni e dei limiti dell’art. 2596 c. c. fa riferimento all’art. 41 della Costituzione ai fini di giustificare una interpretazione assolutamente restrittiva della norma…” e che “…ha omesso in primo luogo in tale enunciazione di considerare che nella fattispecie non si trattava di accordo tra imprenditori estranei tra loro, teso a condizionare il mercato, ma di patto tra cedente e cessionario dell’azienda. Sostiene, infine, che la validità del patto di non concorrenza sotto il profilo della limitazione ad una attività determinata non può essere limitata un’unica attività ma può comprendere anche una serie di esse, rilevando che quelle contenute nel patto corrispondevano all’oggetto sociale dell’azienda ceduta. Tale doglianza appare adombrata anche nel secondo motivo e la stessa viene comunque ora unitariamente considerata. Il motivo appare inammissibile per quanto concerne l’omessa valutazione del rapporto di cessione d’azienda. Vale per tale punto quanto espresso in relazione all’esame del precedente motivo. Per quanto riguarda invece l’individuazione della nullità del patto di non concorrenza in riferimento ad una determinata attività,questa Corte ha già chiarito che è nullo, in quanto contrastante con l’ordine pubblico costituzionale (artt. 4 e 35 Cost.), il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l’iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento. (Cass 16026/01). La valutazione circa il carattere preclusivo assoluto di ogni attività da parte del patto comporta con ogni evidenza una valutazione di merito che è rimessa al giudice di merito. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha rilevato che i numerosi e distinti settori di attività da cui il XXX. doveva astenersi comportavano una menomazione della propria libertà di iniziativa economica da costituire violazione dell’art. 41 l.f. Trattasi come detto di valutazione di merito correttamente argomentata che come tale non è sindacabile in questa sede di legittimità. Aggiungasi che quanto dedotto dalla ricorrente e, cioè, che le attività inibite al XXX. dal patto di non concorrenza erano quelle previste dal propri oggetto sociale risulta essere una mera affermazione apodittica. Tale circostanza, non risultando neppure riprodotto nel ricorso il testo dello statuto societario, non può essere oggetto di accertamento da parte di questa Corte cui è inibito l’accertamento dei fatti e l’accesso ai documenti della fase di merito. Anche tale profilo di doglianza deve essere pertanto disatteso. Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso la ricorrente prospetta “l’omessa o quanto meno insufficiente e contraddittoria motivazione circa più punti della controversia prospettati dalle partxxx Difetto di coerenza fra fonti probatorie offerte dalla parte e convincimento immotivato del Giudice. Travisamento dei fatti, ex art. 360 n. 5 c.p.c. In particolare, la ricorrente lamenta l’omesso esame dei documenti prodotti in sede di giudizio ex art. 700 cpc, e il non avere la Corte di merito adeguatamente motivato sugli interrogatori del XXX. e del XXX nonché la deposizione della teste S. Il motivo è inammissibile. Questa Corte, quanto al contenuto dell’onere motivazionale che grava sul giudice di appello, ha ricordato che la sentenza di secondo grado deve esplicitare gli elementi imprescindibili a rendere chiaro il percorso argomentativo che fonda la decisione (Cass. Sez. un. n. 10892 del 2001), ma l’onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni della parte, né che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da questa svolte. È, infatti, sufficiente che il giudice dell’impugnazione esponga, anche in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della decisione e le ragioni del suo convincimento, così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni incompatibili con esse e disattesi, per implicito, i rilievi e le tesi i quali, se pure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la conclusione affermata e con l’iter argomentativo svolto per affermarla (Cass., n. 696 del 2002; n. 10569 del 2001; n. 13342 del 1999); è cioè sufficiente il riferimento alle ragioni in fatto ed in diritto ritenute idonee a giustificare la soluzione adottata, tenuto conto dei motivi esposti con l’atto di appello Cass. n. 9670 del 2003; n. 2078 del 1998). Ciò premesso, si osserva che la Corte d’appello si è soffermata ad esaminare nel dettaglio la deposizione della teste S., ritenuta non probante in quanto de relato e priva di riscontrxxx Ha inoltre esaminato le risultanze relative all’attività del XXX. nonché i documenti prodotti dalla XXX. srl. Non può quindi affermarsi che il giudice di seconde cure non si sia dato carico di esaminare le risultanze probatorie esistenti in giudizio. In realtà il motivo tende sostanzialmente a prospettare una diversa interpretazione degli elementi in questione in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione. Venendo all’esame del ricorso incidentale si rileva che con il primo motivo di ricorso incidentale il XXX. denuncia la violazione dell’art. 112 cpc per avere la Corte d’appello esteso di sua iniziativa l’accertamento di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. quando la domanda proposta riguardava esclusivamente la violazione dell’art. 2596 c.c. Con il secondo motivo, avendo la Corte d’appello, nell’accogliere l’appello di esso XXX., ritenuti assorbiti gli ulteriori motivi di gravame, gli stessi vengono in questa sede riproposti dal ricorrente incidentale. Il ricorso incidentale, in quanto condizionato, risulta assorbito dal rigetto del ricorso principale. La XXX. srl va di conseguenza condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condanna la ricorrente principale ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 5.000,00 oltre euro 200,00 per esborsi ed oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 12 NOVEMBRE 2014

Ultimi articoli

Corte di Cassazione 25 Settembre 2023

Corte di Cassazione, II sezione civile, sentenza 26 luglio 2023, n. 22566

Famiglia: dopo la morte del marito, anche la moglie separata, ma senza addebito, può rimanere nella casa familiare in virtù del diritto di uso e abitazione.

Corte di Cassazione 25 Settembre 2023

Corte di Cassazione, III sezione civile, ordinanza 25 luglio 2023, n. 22250

Colpa professionale (1): è comunque il notaio che risarcisce la banca per l’ipoteca sbagliata e questo quand’anche l’istituto di credito poteva accorgersi dell’errore.

Corte di Cassazione 25 Settembre 2023

Corte di Cassazione, II sezione civile, ordinanza 13 luglio 2023, n. 20066

Divisione: configura donazione indiretta la rinuncia all’azione di riduzione da parte di un legittimario.

Corte di Cassazione 27 Luglio 2023

Corte di Cassazione, I sezione civile, sentenza 26 giugno 2023, n. 18164

Fondo patrimoniale: il giudice delegato non può acquisire al fallimento il fondo patrimoniale.

torna all'inizio del contenuto Realizzazione siti internet Campania