Corte d'Appello

20 Aprile 2019

Corte d’Appello di Palermo, Sentenza 18 aprile 2017, n. 738

Corte di Appello di Palermo, sentenza del 18 aprile 2017, n. 738

nelle cause civili riunite e iscritte ai nn. 1036/2011 e 1047/2011 del R.G. Cont. Civ. di questa Corte di Appello, poste in decisione nell’udienza collegiale del 09.12.2016 e promosse in questo grado

DA

(…) nato (…) n. q. di procuratore speciale di (…) nata (…) contro

:..)

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Gi.Gu. citava le proprie sorelle Lu. e Ma. avanti al Tribunale di Termini Imerese, esponendo: che il 14 luglio 1999 era morta la madre Be.Sa.; che costei, in data 5 dicembre 1994, aveva formato un testamento pubblico, rogato dal notaio Ga.Lu. di Palermo, che veniva pubblicato in data 27 luglio 1999; che il patrimonio della defunta era costituito da due immobili siti in Santa Flavia, in via (…), da un locale di piano terreno nella stessa via, nonché vari beni mobili conservati nella sua residenza (costituita da uno dei due immobili di via (…)); che nel testamento la defunta lasciava a lei l’appartamento al primo piano, in catasto la partita (…) e il vano terrario, mentre disponeva dell’altro appartamento, sito in Via (…) primo piano a destra salendo le scale, in favore di tutte e tre le figlie in parti uguali; chiedeva, pertanto, lo scioglimento della comunione su quest’ultimo immobile, mediante la vendita all’incanto dello stesso, e la condanna delle convenute al rimborso pro quota in suo favore di tutte le spese da lei sostenute per la pubblicazione del testamento, la dichiarazione di successione, la corresponsione dell’imposta di successione, nonché le spese di assistenza legale; nei confronti della sola Gu.Ma., chiedeva la condanna al pagamento delle spese relative al procedimento per la rimozione dei sigilli apposti all’appartamento oggetto del lascito in proprio favore, nonché la condanna di Gu.Lu. alla corresponsione di indennità di occupazione per la quota dell’immobile di via (…), oggetto di divisione, da lei occupato sine titulo dal 14 luglio 1999.

Si costituiva Gu.Lu., che proponeva, in via riconvenzionale, la domanda di annullamento del testamento per incapacità naturale della testatrice e, in subordine, in caso di rigetto di questa domanda, l’azione di riduzione per lesione di legittima.

Si costituiva altresì Gu.Ma.Ro. che, del pari, proponeva la domanda riconvenzionale di annullamento del testamento per incapacità della testatrice, nonché per vizio della volontà ex art. 624 c.p.c., nonché, in subordine, l’azione di riduzione per lesione di legittima.

Con sentenza n. 45/11 del 26 gennaio 2011, il Tribunale rigettava la domanda le domande riconvenzionali di annullamento del testamento per incapacità della testatrice, esaminate in via preliminare per ragioni di ordine logico, rilevando che mancava la prova che lo stato psicofisico della testatrice, al momento della formazione della scheda testamentaria, fosse tale da eliminare la capacità di autodeterminazione libera e cosciente della stessa de cuius. Del pari, respingeva la domanda di nullità del testamento per vizio della volontà della testatrice ex art. 624 c.c., mancando sempre la prova, da parte della convenuta Gu.Ma., che la disposizione testamentaria impugnata fosse stata determinata da dolo, errore o violenza. Il Tribunale, poi, accoglieva la domanda di riduzione proposta in via subordinata dalle convenute e, per l’effetto, condannava Gu.Gi. a pagare a ciascuna delle convenute, in reintegra della quota di riserva loro spettante, la somma di Euro 16.099,76, oltre interessi nella misura legale rivalutazione della stessa somma. Per quanto riguardava la domanda di scioglimento della comunione, il Tribunale, accertata la non comoda divisibilità dell’immobile, disponeva, ai fini della chiesta divisione, la vendita all’incanto dell’immobile con base d’asta pari a Euro 125.000, da effettuare dopo il passaggio in giudicato della stessa sentenza a seguito di presentazione d’istanza ad opera delle parti interessate. Accoglieva, poi, la domanda dell’attrice nei confronti di Gu.Lu., diretta alla condanna di quest’ultima a corrispondere in suo favore un’indennità per occupazione sine titulo dell’immobile in comunione indivisa tra le eredi, e condannava quest’ultima a corrispondere all’attrice la somma di Euro 1669,50 a decorrere dal 12 dicembre 2004. Infine riconosceva il diritto dell’attrice al rimborso delle spese affrontate a causa della successione, in quanto spese anticipate dalla comunista nell’interesse di tutti i coeredi comproprietari, condannando le convenute a corrisponderle ciascuna la somma di Euro 1.751,70, e, nei confronti della sola Gu.Ma., le spese per la rimozione dei sigilli per Euro 306,70, comunque anche questa pro quota, mattandosi sempre di spese anticipate nell’interesse dell’eredità.

Avverso la suddetta sentenza proponeva appello Gu.Ma., al quale resisteva Gu.Gi.

Con separata e posteriore citazione, Gu.Lu. proponeva appello nei confronti della stessa sentenza, al quale resisteva ugualmente Gu.Gi. Con ordinanza del 2 dicembre 2011, la Corte disponeva la riunione del secondo giudizio al primo.

All’udienza del 9 dicembre 2016, la causa veniva posta in decisione.

Con il primo motivo, Gu.Ma. impugna la sentenza censurandone l’errore in cui sarebbe incorso il Giudice che non ha riconosciuto la incapacità naturale della testatrice e non avrebbe adeguatamente valutato la condizione della testatrice Sa.Be., la quale, come emerge dai documenti e dalle prove testimoniali acquisite, al tempo del testamento era evidentemente ed irreversibilmente incapace di intendere e volere, quindi di testare. Questo motivo è proposto altresì dall’altra appellante ed entrambe, quindi, nei rispettivi atti, evidenziano la inconsistenza, se non addirittura l’inattendibilità, della testimonianza resa dal notaio che ha rogato l’atto, d.ssa Lu., non solo sotto il profilo; dell’esistenza di un motivo di carattere personale (il rapporto di coniugio con il difensore dell’attrice) che renderebbe scarsamente attendibile la teste, ma anche del fatto che la stessa ha rogato l’atto e sarebbe, così, incorsa in una sorta di incompatibilità, sicché non avrebbe dovuto dichiarare che la testatrice era capace di intendere e volere al momento delle dichiarazioni di ultima volontà da lei raccolte.

Secondo il costante insegnamento della Cassazione, “In tema di annullamento del testamento, l’incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o delta capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo. (Cass. 23.12.2014 n. 27351; conformi Cass. 6.5.2005 n. 9508, Cass. 21.5.2010 n. 12525).

Orbene, il primo Giudice ha accertato e dichiarato la capacità di intendere e di volere della testatrice alla luce della documentazione prodotta dalle parti e delle testimonianze assunte nel corso della istruzione, rilevando che, da un lato, le convenute non hanno fornito la prova rigorosa, richiesta dalla costante giurisprudenza, in ordine alla mancanza di capacità di intendere di volere della testatrice al momento della formazione della scheda testamentaria (5 dicembre 1994), poiché, dalle prove acquisite, risulta che, che seppure la signora Sa. aveva dei momenti in cui non era vigile, teneva dai comportamenti abnormi e indicativi di una alterazione delle sue facoltà mentali, pur tuttavia non vi era la prova che al momento della formazione della scheda testamentaria la stessa fosse incapace di intendere di volere ovvero avesse del tutto perso la capacità di autodeterminazione libera e cosciente; dall’altro lato, nota il primo Giudice, fattrice ha fornito prova della sussistenza di questa capacità di autodeterminazione libera e cosciente della testatrice al tempo della redazione del testamento, attraverso la testimonianza del notaio rogante e di una testimone presente al compimento dell’atto, Ma.Ma. La valutazione delle prove compiuta dal Tribunale, alla quale si rinvia per brevità, appare condivisibile in quanto logica e coerente. I rilievi che le appellanti hanno addotto a queste valutazioni non appaiono condivisibili, perché si limitano a reiterare le allegazioni in ordine all’esistenza di una riconoscimento della indennità di accompagnamento in relazione alla invalidità al 100% riconosciuta alla Sa., né colgono ne) segno, del resto, le censure contro la testimonianza del notaio Lu. che, come correttamente rilevato dal primo Giudice, va certamente considerata teste attendibile; le contestazioni delle appellanti riguardanti la sua vita personale, infatti, oltre che infondate – alla luce della dichiarata condizioni di separazione personale della stessa col proprio coniuge – appaiono inondanti, mentre le sue dichiarazioni, confermate dalla Ma., appaiono coerenti e assolutamente credibili. In particolare, mette conto evidenziare che la professionista ha confermato di avere riportato nel testamento le dichiarazioni della testatrice esattamente come da lei espresse e formulate. Questa testimonianza, quindi, fornisce una prova diretta e decisiva che la testatrice al momento di redigere il testamento era campos sui.

Posto che l’articolo 591 c.c. ai fini della invalidità del testamento esige che la persona ancorché non interdetta, sia stata per qualsiasi causa anche transitorie incapace di intendere di volere nel momento in cui fece testamento, va ribadito che le circostanze riferite dagli altri testi, non sono assolutamente sufficienti per ipotizzare l’esistenza della richiesta incapacità; la documentazione prodotta, invero non evoca né demenza né altro tipo di psicosi, menzionando di volta in volta la vasculopatia cerebrale, stati di agitazione, anche temporanee od occasionali (come quello documentato dalla cartella clinica prodotta riguardante il ricovero del 9 novembre 1992 per una frattura al femore), disorientamenti nel tempo e nello spazio; le condotte descritte dei testimoni, poi, evidenziano certamente un disorientamento e significative criticità della personalità e dell’assetto psichico della persona, ma certo non una patologia ben definita, permanente e costante, tanto un medico che aveva visitato a domicilio la de cuius della defunta nel 1992, sentito come teste (Dott. Vi.) ha escluso patologie di tipo psicotico o stati di totale incapacità.

A sostegno, poi, della capacità di intendere e di volere, appare significativo l’inciso contenuto nel testamento con il quale sostanzialmente la defunta giustifica in maniera ragionevole, il lascito di un appartamento in esclusivo favore della figlia Gi., evocando l’assistenza materiale e morale che dalla stessa ha ricevuto e continuerà a ricevere per tutta la durata della sua vita.

Va, pertanto, confermato il rigetto di questa domanda così come della domanda di annullamento ex art. 624 c.c. poiché, del pari, alcun vizio della volontà è stato provato, né peraltro adeguatamente allegato negli atti introduttivi (ed è bene ricordare che secondo quanto costantemente insegna la Suprema Corte, per potere configurante la sussistenza del dolo in danno del testatore idoneo a provocare l’annullamento del testamento, non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, i quali – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano, di identificare e ricostruire la attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore; da ultimo Cass. 28.5.2008 n. 14011).

Con altro motivo, Gu.Ma. si duole che nel calcolo dell’asse relitto ai fini della valutazione della lesione della quota di legittima, non è stato incluso né calcolato quanto donato dalla de cuius alla figlia Gi., dolendosi, in particolare, che il Giudice non abbia adeguatamente istruito questa specifica domanda ai fini di accertare le somme così disposte, non avendo il Giudice accolto le istanze di esibizione dei documenti, nelle quali l’appellante insiste.

Ora, con la memoria istruttoria depositata il 10 dicembre 2001, Gu.Ma. aveva chiesto l’esibizione (ovvero l’autorizzazione ad acquisire); A) presso l’I.N.P.S. di Palermo, o della sezione di Bagheria, della documentazione sanitaria a corredo della domanda di erogazione della pensione di vecchiaia e di reversibilità, nonché l’estratto conto delle somme erogate sin dal 1 giugno 1987 a San Filippo Benedetto o al suo delegato; B) presso la prefettura di Palermo 1) della documentazione sanitaria a corredo della domanda di erogazione della pensione di invalidità e di accompagnamento e2) l’estratto conto delle somme erogate dal 1 giugno 1987 a San Filippo Benedetta o al suo delegato.

Con il terzo motivo, strettamente connesso, l’appellante chiarisce che la documentazione richiesta all’Inps, che la stessa aveva già chiesto ma il cui rilascio è stato negato, mira ad acquisire informazioni sulla condizione di salute, in particolare neurologica, della signora San Filippo, poiché, a suo dire, potrebbe desumersi l’incapacità naturale della de cuius dallo stesso la circostanza che le è stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento, poiché il titolare dell’indennità oltre a essere invalido al 100% deve anche essere incapace di attendere agli atti della vita quotidiana come detta la normativa in subiecta materia.

Presumibilmente, la richiesta diretta alla acquisizione degli estratti conto delle pensioni e delle somme erogate alla Sa., ovvero al suo delegato, mira ad accertare se tali somme sono state incamerate dal delegato, poiché sostanzialmente la donazione, la cui riunione fittizia all’asse ereditario si invoca da parte delle appellanti, si identifica con le somme che la Gu.Gi. avrebbe riscosso delle pensioni fruite dalla madre al suo posto e incamerate direttamente.

Orbene, va detto che gli atti introduttivi del giudizio di primo grado non articolano correttamente tale domanda di riunione del donatimi alla figlia Gi. all’asse relitto dalla sig.ra Sa. In tutti i casi, a tale scopo andava richiesta non la mera esibizione (comunque generica e non circostanziata) dei documenti, ma piuttosto un rendiconto delle somme incassate dalla beneficiaria quale delegata della madre.

Anche l’esibizione della documentazione relativa alla domanda di indennità per l’invalidità. è ininfluente, poiché, essendo stata definita la pratica nel 1987, non darebbe conto comunque dello stato mentale della de cuius all’epoca in cui ha fatto testamento.

Per conseguenza, l’appello va rigettato.

Vanno disattese, poi, le censure avanzate da Gu.Gi. alla sentenza; i rilievi riguardanti la stima dei beni facenti parte dell’asse sono generici, in quanto non mirati alla precisa confutazione dei motivi esposti dal Tribunale; quanto al criterio adottato per la reintegrazione delle quote delle legittimarie lese, criticato poiché, a detta della stessa appellata, il Tribunale avrebbe dovuto, piuttosto che determinare un conguaglio a favore delle condividenti e a suo carico, eventualmente ridurre la sua quota sull’immobile in comunione, è appena il caso di osservare che, contrariamente all’assunto di Gu.Gi., non ricorre alcun dettato normativo in questo senso.

Va confermato, infine, il regime delle spese disposte dal primo Giudice, dovendosi tenere conto della soccombenza dell’appellata rispetto alla domanda di riduzione.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, a carico dei entrambe le appellanti in solido, in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese, oltre oneri forfetari, CPA e IVA.

P.Q.M.

La Corte d’Appello, definitivamente pronunziando, sentiti i Procuratori delle parti:

pronunziata in data 26 gennaio 2011 dal Tribunale di Termini Imerese;

2) condanna le appellanti in solido al pagamento, in favore dell’appellata, delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, oltre accessori;

Cosi deciso in Palermo il 10 marzo 2017. Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2017.

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